È stato pubblicato dall’Ufficio Studi del Ministero per i beni e le attività culturali, “Minicifre della cultura 2010”, un libretto di circa 30 pagine che si pone lo scopo di fornire un quadro sintetico essenziale per la comprensione degli investimenti, delle spese e degli incassi di quei settori che gravitano attorno alla cultura.
Di questi fanno parte naturalmente i musei, pubblici e privati, i siti archeologici, le biblioteche, gli archivi ma anche l’editoria, l’industria dello spettacolo, la musica, i media e il turismo culturale.
La sinteticità dell’opuscolo che, come esplicitamente dichiarato “non consente un’analisi puntuale delle caratteristiche strutturali e congiunturali e un’interpretazione dei trend di sviluppo rilevati”, consente però di soffermarsi a riflettere su alcuni dati, per certi versi rappresentativi.
Nel 2009, anno a cui la ricerca si riferisce, l’incasso complessivo dei musei e delle aree archeologiche italiane è stato di oltre 97 milioni di euro. I numeri più alti di visitatori si sono registrati a Venezia (circa 1, 8 milioni) e a Roma (circa 1,4 milioni) seguite da Milano e Firenze.
Gli istituti statali più visitati
(con ingresso a pagamento) sono stati, come ormai da molti anni a questa parte, il Complesso del Colosseo-Palatino-Foro Romano, gli Scavi di Pompei e la Galleria degli Uffizi, tre luoghi al centro dell’interesse del Mibac per diverse ragioni: il Colosseo per l’investimento privato dell’imprenditore Della Valle che ne finanzierà il restauro, Pompei per gli episodi ripetuti di crolli che dovrebbero portare ad un ridefinizione della gestione del sito e gli Uffizi, con il cantiere per i Nuovi Uffizi la cui apertura è slittata dal 2011 al 2012.
Eppure, come evidenzia la ricerca, nel 2008 gli italiani che hanno dichiarato di aver visitato una mostra o un museo almeno una volta durante l’anno sono solo il 28%, a fronte del 50% di coloro che si recano al cinema, del 94% di quelli che guardano la tv, del 44% di coloro che hanno letto almeno un libro e del 56% che legge il quotidiano almeno una volta la settimana.
I nostri musei e i nostri beni culturali sono quindi pieni di turisti: un dato di certo non negativo, ma che dimostra quali siano le pratiche culturali più diffuse tra gli italiani e di come la cultura venga percepita per la formazione e lo sviluppo di una coscienza critica.
77 milioni sono infatti gli arrivi e circa 310 milioni i pernottamenti registrati negli esercizi ricettivi delle località italiane di interesse turistico: USA, Germania e Regno Unito i principali paesi di provenienza, con oltre 9,4 miliardi di euro spesi per vacanze artistico-culturali.
Con il 57% del totale, il turismo culturale si attesta dunque come il comparto più significativo nel mercato della ricettività contando su 18,8 milioni di arrivi nelle città d’arte principali quali Venezia, Roma, Milano e Firenze.
Sempre nel 2009, il Mibac ha inoltre pubblicato la sua Indagine conoscitiva sui servizi museali pubblici. I risultati, che hanno portato, a detta del direttore generale per la conservazione e valorizzazione Mario Resca, “ad un successo solo parziale”, evidenziavano le maggiori pecche lamentate dagli italiani in ambito museale: oltre al livello insufficiente di servizi quali la disponibilità di pannelli informativi e di didascalie in lingue diverse dall’italiano, è soprattutto la mancanza di servizi aggiuntivi come bookshop e caffetterie a far percepire ai visitatori il museo come luogo morto o inospitale che non offre svaghi adatti alla fruizione culturale di tutti i target (primi fra tutti i bambini) .
Scoperto il punto di vista dei visitatori sui servizi culturali offerti all’interno delle strutture di media affluenza, rispetto alla regolarità, all’accoglienza e al dialogo, e resa nota la distanza tra la qualità percepita e la qualità attesa, il Direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale si era detto pronto a ribaltare questo trend per assecondare i desideri dei suoi “clienti”, eppure ad oggi, dopo ben 2 anni, nulla è cambiato, se non in peggio.
Secondo gli ultimi dati Istat, in Italia la cultura produce oltre 40 miliardi di euro di prodotto interno lordo ed occupa 550mila lavoratori. Eppure, come ben noto ormai, le previsioni di spesa per quest’anno e per gli anni  a venire diminuiscono a dismisura. Se nel 2009 il Mibac spendeva lo 0,23% del bilancio dello Stato, nel 2011 la previsione di spesa è dello 0,18%.
I finanziamenti privati non potranno rappresentare la boa di salvataggio, così come non fu negli anni passati in cui, come evidenziano le “Minicifre”, sia le fondazioni di origine bancaria con 513 milioni, sia gli enti privati con 12,4 milioni, non sono riusciti nell’obiettivo strategico di risollevare le sorti di un settore percepito sempre più di nicchia. E semplicemente perché non lo hanno voluto fare. Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, in un suo intervento durante il seminario Acri di qualche anno fa ha sentenziato: “c’è una cosa che le fondazioni non vogliono più fare: non vogliono essere lo sponsor passivo di iniziative pensate da altri, non vogliono più essere il docile bancomat degli Assessorati e delle Soprintendenze.” Questo è ciò che è avvenuto. Al di là delle spese del Pil, dei bilanci preventivi, degli investimenti pubblici e privati, il problema delle risorse alla cultura dovrebbe forse spostarsi dai meri dati economici per affrontare con maggiore schiettezza quelli di gestione e della (poca) sinergia che esiste tra pubblico e privato, una cerniera che diventa ogni giorno più importante.
Riferimenti:
Minicifre della cultura 2010
Indagine sui servizi culturali pubblici