Nell’Italia di oggi sembra quasi una battuta. Non solo per i facili rimandi a più o meno marcate pretese indipendentiste di questa parte del Bel Paese, ma soprattutto per lo stato del “sistema cultura” che ha toccato uno dei punti più bassi di sempre. Tra decurtazioni e reintegri al FUS, leadership ministeriali che a voler essere generosi si sono dimostrate deboli e prive di progettualità, dimissioni di personaggi internazionalmente riconosciuti, la cultura non sembra proprio essere tra i settori ritenuti strategici per l’uscita dalla crisi e lo sviluppo del Paese.
E se, come ci ha ricordato Pierluigi Sacco su Tafter, “nel resto d’Europa, e nei paesi più dinamici dello scenario mondiale, la cultura è uno dei fattori chiave di un nuovo ciclo di sviluppo”, in Italia sembra che la si veda come un settore “a perdere”. Ma esistono delle alternative, non solo in vista delle decisioni chiave che il neo-eletto Ministro Galan dovrà prendere, ma anche sulla base di progettualità che i singoli territori stanno cercando di portare avanti. Ed è questo il caso del Nord-Est e della Capitale della Cultura 2019.
Per quanto nell’immaginario collettivo questo territorio sia legato a file di capannoni alternate a campi e all’etica del “duro lavoro”, i diversi attori locali stanno, infatti, ponendo le basi per la partecipazione alla selezione della manifestazione di livello europeo più importante in ambito culturale.
E il forte interesse di privati e aziende per i lavori degli attori istituzionali sembra far pensare che anche il settore produttivo stia cominciando a comprendere come il paradigma economico sia cambiato e che i modelli finora validi a breve diventeranno obsoleti. Nell’epoca della globalizzazione fuori dalla porta di casa si affacciano economie come quella della Cina e il Nord-Est delle fabbriche deve prenderne atto trovando nuove strade.
Una di queste è la Capitale della Cultura. Nata come mezzo per avvicinare i cittadini europei, ha assunto progressivamente un sempre crescente impatto sociale ed economico sui territori che l’hanno ospitata. Un anno di manifestazioni ed eventi, ma soprattutto di progetti, di percorsi che legano impresa, creatività e comunità in un processo di contaminazione reciproca. Famosi sono gli esempi di città come Essen e Lille che hanno visto territori depressi economicamente e socialmente riunirsi attorno ad un progetto comune, un percorso che le ha portate ad esprimere il potenziale di sviluppo insito nell’arte, nella cultura e nella creatività e che è andato ben oltre l’anno di assegnazione.
E’ questa la sfida che il Nord-Est si è posto per il 2019, cercando di creare un progetto condiviso dal più ampio territorio che si sia mai candidato e di mettere d’accordo spinte e interessi locali e localistici. Non solo per vincere l’assegnazione a cui concorrono altre 12 città italiane, ma per riuscire a far sì che il progetto porti i frutti attesi. E se per alcuni aspetti il Nord-Est presenta handicap concreti, ha in sé anche grandi potenzialità. Motore economico del Paese per molti anni, presenta un tessuto imprenditoriale che, se riuscisse a fare il salto di qualità inserendosi a pieno nella contemporanea economia della conoscenza, potrebbe davvero fare la differenza trascinando l’Italia in una nuova fase di sviluppo.

Abbiamo intervistato Filiberto Zovico editore di Nordesteuropa.it, direttore del Festival della Città Impresa e tra i più attivi promotori della candidatura per capire lo sviluppo del progetto.

Come sta procedendo l’iter della candidatura? Ci sono avversari che teme particolarmente?
La parte istituzionale sta procedendo lentamente, ma procede. Lo scoglio che ci si trova davanti ora è la nomina del direttore di candidatura, del comitato scientifico e dei 100 che rappresenteranno il territorio. Per quanto riguarda il movimento alla base si stanno raccogliendo sempre più consensi, con una sensibilità sempre più diffusa sia degli imprenditori che degli attori del mondo dell’arte e della cultura. Come parte integrante dell’iter della candidatura ci saranno percorsi significativi che si concretizzeranno già nel prossimo Festival delle Città Impresa. Si darà il via ad un percorso sulla Cultura della Vite e presso la Fondazione CUOA ci sarà anche un seminario che metterà insieme tutti gli assessori al turismo nell’ottica della Capitale. L’intero Festival sarà una piattaforma e un banco di prova.
Per quanto riguarda le altre città candidate tra quelle che stanno lavorando più seriamente c’è Ravenna, ma ritengo che la vera candidatura dell’Italia non possa che essere il Nord-Est e che il suo vero nemico potenziale sia la gestione dei diversi attori e delle diverse spinte.

Ci si aspetta che i benefici che la Capitale porterà siano di lungo periodo e coinvolgano non solo l’economia, ma anche i singoli cittadini. Questo è stato vero per molte Capitali della Cultura, ma per altre, ad es. Genova, le aspettative sono state disilluse. Per quale motivo per il Nord-Est non sarà così?
Genova è stata una Capitale in un’altra fase. Successivamente si è capito molto meglio che si tratta di un percorso che va ben oltre l’anno di candidatura. E’ un traguardo che indica una traiettoria e anche se non si vincesse sarebbe comunque importante. Ma il fatto di vincere porterebbe un beneficio a tutto il sistema Paese: una Capitale della Cultura secondo le statistiche porta il 10% in più di turisti, che calcolati sui 40 milioni del Nord-Est vuole dire 4 milioni. Nessun’altra città può fare altrettanto e questi sono flussi che, se si riesce a creare un collegamento con il resto dell’Italia, possono essere diretti anche su altri territori. Se la candidatura sarà una candidatura moderna che inquadra la cultura anche come motore economico se ne avrà un giovamento per tutto il sistema Paese e considerando che si tratta di un territorio fatto di imprese ci sono tutte le premesse affinché questo accada e perché avvenga un cambio di visione.

Le aspettative sul ritorno turistico sono quindi molto alte, ma per renderle effettive servono infrastrutture adeguate. Nel caso delle Olimpiadi proprio questo è stato ritenuto un elemento debole del sistema territoriale. Pensa che il Nord-Est possa accogliere e gestire i flussi che verranno?
Le Olimpiadi sono una cosa molto diversa dal punto di vista dei flussi, li accolgono e gestiscono secondo tempi e in un’area molto più ristretti. Premesso che la sconfitta è stata probabilmente più politica che legata alle infrastrutture, il problema del Nord-Est è legato più che altro alle vie di collegamento e alla circolazione e per questo sono necessari la TAV e la messa in rete tra gli aeroporti e le vie di terra, sia a livello nazionale che internazionale.

Un percorso quindi, quello della Capitale, che per funzionare deve unire i più importanti attori del territorio. E tra di essi un peso strategico ha sicuramente la Fondazione di Venezia, non solo per i forti investimenti in ambito culturale, ma anche per i progetti in atto. Abbiamo chiesto al Vice-Direttore Fabio Achilli come la Fondazione vede la candidatura e il proprio ruolo.
La Fondazione di Venezia, pur mostrando di gradire la candidatura, non è tra i promotori diretti, anche se alcuni dei suoi progetti, come quello dell’M9, il futuro Centro sul ‘900 di Mestre, sicuramente possono aggiungere peso al piatto del Nord-Est. Quali sono le motivazioni?
Devo dire che una delle prime riunioni per la candidatura si svolse proprio  in Fondazione. Fu un incontro in cui venne presentata la possibilità a partecipare e l’invito a lavorarci, mentre l’idea di candidare non solo la Capitale, ma tutto un territorio più esteso sullo stile di Essen, nacque progressivamente. Noi riteniamo che, per sua stessa natura, la Fondazione non sia deputata a essere capofila della candidatura e abbiamo lasciato che la cosa si evolvesse e fossero le istituzioni locali a decidere. La Fondazione ad ogni modo è disponibile ad essere un partner e a discutere il suo livello di coinvolgimento, così come ha appoggiato la candidatura del territorio all’Expo di Shanghai dell’anno scorso. Ad oggi, tuttavia, non ci sono state richieste di intervento diretto, anche se seguiamo con attenzione i passaggi e gli sviluppi. Certamente l’M9 può costituire un elemento importante per tutte le attività che si andranno a costruire e, indipendentemente dall’eventuale ruolo della Fondazione, qualora si concretizzasse la candidatura sicuramente il centro andrà sviluppando attività a sostegno del progetto. Come abbiamo più volte detto, l’M9 è al servizio di tutto il territorio secondo un modello multifunzionale, aperto e disponibile. Ci tengo, inoltre, a sottolineare che indipendentemente dalle difficoltà economiche che l’Italia e tutto il mondo stanno vivendo, l’M9 va avanti e la sua progettazione e realizzazione sono pienamente in regola con le scadenze. La Fondazione ha la forza economica per sostenerlo, anche se questo non vuol dire che non si vogliano e non si andranno a coinvolgere altri partner e sponsor, anche per farne un progetto condiviso.

Il sistema culturale italiano sta attraversando gravi problemi, crede che l’assegnazione al Nord-Est della Capitale potrebbe cambiare in qualche modo le cose e dimostrare le reali capacità economiche che la cultura possiede?
E’ sicuramente una delle grandi sfide e costituirebbe un enorme valore aggiunto, ma bisogna arrivare allenati e proseguire oltre il 2019. Detto questo, la cultura sta veramente soffrendo, e maggiormente rispetto ad altri paesi.  Quello che sicuramente manca è un’educazione alla cultura e al contempo anche una capacità dell’Italia di rinnovarsi. Si è ragionato sempre per grandi eventi, ma chi ha lavorato con un po’ di lungimiranza? Parallelamente al grande evento cosa si è sedimentato sul territorio? Ci vogliono creatività, inventiva e controllo dei costi. Fermo restando che ci sono attività culturali che vanno finanziate al di fuori da ogni considerazione per il loro valore anche sociale, educativo e formativo che possiedono, bisogna ragionare nell’ottica di cosa è possibile fare indipendentemente dai fondi pubblici. In Italia dal punto di vista della cultura non si vede emergere la creatività che caratterizza il nostro Paese. Avanti chi ha idee fresche e nuove, avanti i giovani che hanno inventiva, voglia di fare e modi innovativi di pensare.

Parlando del territorio, secondo lei esiste una classe imprenditoriale pronta ad investire nel progetto?
Il problema delle imprese italiane, e anche di quelle venete, è che c’è stato un periodo di forte benessere e si è avuta una successione alla guida senza che però ci fosse una classe dirigente preparata e con la giusta cultura. Quando è arrivata la crisi non c’è stata, quindi, né la capacità di prevederla né di cambiare, perché non c’erano le giuste competenze. Il Veneto è un territorio con un grande potenziale, un territorio di ricerca, capace di sviluppare cose nuove. Bisogna che le giovani classi imprenditoriali sappiano leggere la contemporaneità e fare cose nuove. Finora è mancata la spinta, la voglia di andare oltre.

Crede che la candidatura possa acuire i particolarismi con il rischio che il comitato si spacchi?
Circa il territorio candidato, ben venga che ci sia un’area così vasta coinvolta nella candidatura, ma bisogna far si che non sia un boomerang. Una gerarchia territoriale ci deve essere anche per ottimizzare la ricaduta sul territorio. Un aspetto altrettanto importante è valorizzare tutto il territorio facendolo crescere, ma tutto questo da solo non basta. Il Veneto è tra le prime Regioni per affluenza turistica, ma per aumentare i visitatori sarebbe opportuno trovare una progettualità che riunisca le realtà locali in un percorso comune, superando eventuali individualismi. E’ importante mettersi nell’ottica che il percorso che porta al 2019 deve proseguire oltre quell’anno ed essere solo l’inizio, come molti hanno già detto anche solo il fatto di candidarsi è già un buon punto di partenza per fare sistema. Entro il 2012 bisogna però che sia chiaro qual è la Capitale. E anche se su questo c’è abbastanza convergenza su Venezia è necessario che il ruolo le sia riconosciuto ufficialmente, anche nell’ottica delle infrastrutture da realizzare, come ad esempio la TAV. Bisogna mettersi a lavorare insieme e questa è la vera sfida per il Nord-Est, ancora prima di definire il fil rouge del progetto, è necessario che ci sia coesione tra le diverse forze politiche.