Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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In principio fu iTunes. Leader nel settore musicale digitale, iTunes è l’applicazione di casa Apple che permette, da oltre 10 anni e in condizione di assoluto monopolio, di acquistare brani musicali, archiviandoli ed organizzandoli in base alla proprie preferenze su tutti i dispositivi di casa Cupertino.
Un monopolio che di certo non sarà destinato a durare ancora per molto: con l’espansione del mercato musicale digitale e lo sviluppo di tecnologie cloud in grado di accumulare grandi quantità di dati in server periferici, le maggiori aziende di software hanno cominciato a studiare metodi alternativi ad iTunes che, in alcuni casi, si presentano anche più agibili ed economici del rivale.
E’ infatti di questi giorni la notizia che Google avrebbe avviato la sperimentazione di un servizio musicale in India, in grado non solo di scardinare iTunes dal vertice delle vendite nel settore, ma addirittura di tentarne il sorpasso sul piano delle vendite. Parliamo di Google Music, un servizio di streaming musicale basato sul sistema operativo Android che permetterebbe agli utenti di ascoltare brani musicali, gestendoli in library personali modificabili e implementabili. La musica ascoltata non si potrà scaricare e rimarrà nei server di Google senza la possibilità di essere trasferita in nessun device tecnologico.
Ancora incerto il modello di business: il servizio, se non gratuito, avrà comunque un costo molto basso che si aggira sui 25 dollari annui. Affinché l’applicazione possa sbarcare anche in Occidente due sono le maggiori questioni ancora da risolvere: l’incertezza della legislazione in materia che permette l’ascolto i brani musicali gratis online purché non salvati su supporti fisici personali e gli accordi con le major discografiche EMI, Sony BMG Music, Universal e Warner.
E se nella Silicon Valley la BigG è in fermento, altre società si preparano a sbarcare nel comparto con grandi novità: Amazon ad esempio, in piena espansione strategica ha aperto anch’essa uno spazio cloud, di circa 20 GB in cui inserire brani musicali da ascoltare in streaming. Amazon Cloud Player il suo nome e permetterà di caricare su questo spazio storage i propri brani preferiti che potranno essere riprodotti in streaming tramite smartphone con tecnologia Android (non sarà possibile infatti riprodurre i file caricati su Apple iPhone, iPod e iPad).
“Chi compra musica da Apple deve poi sincronizzarla e copiarla sui vari apparecchi, dal Mac all’iPhone in un modo meno facile e immediato del cloud – sostiene Paul Verna, analista della società eMarketer -. Inoltre sul telefonino c’è un problema di spazio e resta da vedere se la gente vuole possedere la propria musica o preferisca ascoltarla con altri sistemi tipo Spotify o Pandora”.
Spotify in Europa e Pandora negli Usa sono infatti i siti internet che fino ad oggi, per coloro che non vogliono acquistare musica (dovendo così ricorrere ad iTunes), permettono l’ascolto gratuito di musica online. Spotify, piattaforma svedese, ha inoltre appena celebrato 1 milione di utenti abbonati alla versione premium, quella cioè che elimina le inserzioni pubblicitarie e offre una maggiore qualità audio, garantendosi una posizione leader nel mercato.
Dopo Google e Apple non poteva esimersi dalla prova anche casa Microsoft che si mormora abbia già in cantiere un servizio web based, nome in codice Ventura, che permetta la condivisione e l’archiviazione di brani musicali online.
Tra le novità presenti spicca inoltre, tutta made in Italy, Esselunga Music Store, il nuovo servizio nato dalla collaborazione tra la società della grande distribuzione e Play.me di Dada: tramite Music card di un valore che oscilla tra i 9,90 euro e i 29,90 euro si potrà entrare nello spazio virtuale ed acquistare brani musicali da un database di oltre 6 milioni di pezzi.
Dopo la presa di consapevolezza dell’assoluto dominio di Apple nel settore con oltre il 66% della musica online che passa per le sue piattaforme, non potevano i grandi big dell’informatica lasciarsi sfuggire un’occasione importante come quella rappresentata dal cloud.
Molti i nodi ancora da sciogliere soprattutto a causa della opacità normativa che non permette di distinguere confini delimitati nell’applicazione della legge contro la pirateria. Di sicuro l’industria musicale è radicalmente cambiata: dall’avvento di Napster nel 1999 ad oggi, grandi passi sono stati compiuti a livello tecnologico ed informatico ma ben pochi, invece riguardo la normativa e le azioni da perseguire affinché le etichette discografiche riescano a modernizzarsi senza rinunciare al guadagno messo sempre più a repentaglio dalla facilità di aggirare le norme in materia: meno 170 milioni di euro nel 2010 con un crollo del 50 per cento, l’industria musicale viene messa in ginocchio dalla concorrenza sleale della pirateria digitale. Ben venga dunque la nascita di nuove piattaforme, legali e controllate, che permettano simultaneamente di sfruttare le potenzialità tecnologiche offrendo un prodotto legalmente accettato ma a costi contenuti.