Portano una notizia buona e una cattiva i dati presentati nel Rapporto Eurostat sulla cultura 2011: quella buona è che gli europei percepiscono l’importanza della cultura ed in questi anni di crisi e di rincari generalizzati hanno saputo rinunciare al ristorante, alla vacanza, ma non alla cultura. Quella cattiva è che l’Italia fatica a reggere i ritmi europei, mostrandosi un fanalino di coda in alcuni settori specifici.
Eppure, secondo quanto riportato dal rapporto, siamo ai primi posti tra coloro che vantano il maggior numero di lavoratori nell’ambito della cultura, con oltre 120 mila “creativi” impegnati in discipline culturali. A cotanta offerta non corrisponde però una degna domanda, con un consumo culturale che si attesta tra i più bassi in Europa e che incide sul bilancio familiare per l’appena 3%.
Consumiamo in media meno cultura di tutti gli altri paesi europei, pur essendone più dotati e i nostri musei e siti archeologici più visitati non riescono comunque a reggere il confronto con la Francia e l’Inghilterra: agli oltre 4,5 milioni di visitatori per il Circuito Archeologico Colosseo e Palatino nel 2009 (il complesso museale più visitato in Italia) si contrappongono gli oltre 8 milioni di visitatori del Museo del Louvre di Parigi e gli oltre 6 milioni della Tate londinese. Anche riferendosi al totale dei visitatori per i 5 complessi culturali più visitati l’Italia con Colosseo, Palatino, Pompei, Uffizi, Galleria dell’Accademia e Castel Sant’Angelo riesce a ricavare solo la metà dei visitatori (10.190.715) rispetto a Francia (22.099.915) e Gran Bretagna (23.808.162).
Dati che, se incrociati con quelli delle presenze turistiche, denotano che sono proprio gli italiani i primi a manifestare una certa idiosincrasia verso i musei nazionali.

Ricordiamo infatti che, proprio nel 2009, il Mibac ha pubblicato la sua Indagine conoscitiva sui servizi museali pubblici all’interno della quale i cittadini a cui era stato somministrato il sondaggio lamentavano un livello insufficiente di servizi, la scarsità dei panel informativi e la poca tecnologia sfruttata nonché la mancanza di servizi aggiuntivi come bookshop e caffetterie.
Anche al di fuori dell’ambito museale, però, la situazione italiana al confronto con quella europea non è delle più rosee.
Nell’analisi dei consumi culturali è stato portato alla luce come solo il 46% degli italiani si reca al cinema almeno una volta l’anno, contro il 70% degli islandesi o dei danesi, il 57% degli inglesi e il 54% di francesi e spagnoli, con una depressione al 30% riguardo gli spettacoli dal vivo.
Siamo, inoltre, poco collegati con il mondo: mangiamo nei ristoranti etnici, viaggiamo almeno 3 volte l’anno ma non navighiamo molto su internet ed il nostro gap tecnologico è di oltre 30 punti percentuali al di sotto dei paesi Nord Europei che vantano una fruizione di internet pari all’80% della popolazione. Siamo diffidenti, inoltre, all’acquisto online di beni o prodotti culturali. Nonostante una sostanziale crescita di utenti che effettuano transazioni online (siamo passati dal 5% del 2006 al 12% del 2009) siamo comunque ancora anni luce lontani dal 57% degli inglesi o dal 49% dei norvegesi che hanno automatizzato gran parte della ticketeria nazionale riferibile ad eventi culturali.
Da questa ultima analisi si direbbe dunque che siamo un popolo di tradizionalisti e, alla tecnologia, preferiamo magri un buon libro. E invece no.
Le innumerevoli case editrici su suolo nazionale devono fronteggiare la ritrosia di un paese nel quale si evince che solo il 45% della popolazione legge almeno un libro l’anno, al penultimo posto della classifica europea, seguiti solo dal Portogallo. Al fondo estremo della classifica ci attestiamo invece per la lettura dei quotidiani con la rivelazione che ben il 46% della popolazione femminile italiana e il 22% di quella maschile non legge mai un quotidiano. Mai.
Eppure, dichiara nel finale l’ufficio statistico europeo, tutto il continente riconosce all’unanimità l’importanza di questo settore, che vive in tutta Europa una condizione di disagio e di scarsità di risorse ma il cui sviluppo è da inserirsi nelle azioni intese a favore l’integrazione tra popoli e, appunto, culture diverse.

Approfondimenti:
Scarica il rapporto