Ha lasciato stampa e addetti ai lavori con il fiato sospeso fino all’ultimo, tutti a chiedersi se avrebbe parlato o meno del suo nuovo film. Alla fine, il giorno della proiezione in anteprima a Roma di Habemus papam, in concorso al 64mo Festival di Cannes, Nanni Moretti lo ha fatto: si è presentato in conferenza stampa e si è concesso alle domande dei giornalisti.

Snobismo o strategia di marketing?
La verità è che ero stanchissimo, avevo bisogno di riposarmi qualche giorno. Alle volte, poi, i registi fanno confusione parlando delle proprie opere, e io sono senz’altro fra questi. Ho lavorato tanto a questo film, e spero che il risultato parli un po’ da solo.

Che cosa le premeva raccontare con Habemus papam?
Volevo raccontare un uomo fragile, il cardinale Melville, che si sente inadeguato dinanzi al potere e al ruolo che è chiamato a ricoprire, e volevo farlo nell’ambito di una commedia. Poi volevo raccontare il mio personaggio, il torneo di pallavolo, il deficit di accudimento, l’amore di Melville per il teatro. All’inizio, il soggetto prevedeva che ci fosse pure una sorella del Papa, attrice. Poi l’abbiamo fatta morire e nel film è soltanto nominata. Penso comunque che questo senso di inadeguatezza capiti a tutti i cardinali che vengono eletti Papa, o almeno così dicono.

Come è avvenuto l’incontro con Michel Piccoli?
Gli ho chiesto di fare un provino, in italiano, su sei scene. Lui ha accettato. Così, sono andato a Parigi, era il 14 agosto 2009, abbiamo provato e subito dopo gli ho detto che sarei stato felice se avesse interpretato il mio film. Sapevo che Piccoli era bravo, ma è stato quando ho visto il film in sala di proiezione, montato per intero, che mi sono reso conto di quanto, con i suoi silenzi, le sue espressioni e la sua camminata, fosse riuscito a dare al personaggio.

Come ha scelto il nome del protagonista, Melville?
Qualche anno fa, ho diretto un’edizione del festival di Torino in cui c’era una retrospettiva sul regista francese Melville. Così, quando con gli sceneggiatori Federica Pontremoli e Francesco Piccolo cercavamo dei nomi per i personaggi, è venuto fuori Melville. Poi ci siamo affezionati, ed è rimasto.

C’è qualcosa di Moretti nel personaggio del Papa?
C’è qualcosa di mio sia nel personaggio che interpreto, lo psicanalista Brezzi, sia in quello del Papa. Devo però specificare che non ho mai pensato, nemmeno per un momento, di interpretare io il pontefice, sebbene tutti, sentendomi dire che avrei lavorato a un film su un Papa depresso, mi dicessero: “Lo fai tu!”. Ma ci voleva tutt’altra persona, altro personaggio, altra età.

Una rappresentazione così affettuosa e umana dei cardinali era prevista sin dall’inizio?
Durante la scrittura, ci siamo affezionati ad alcuni cardinali: a quello competitivo, al favorito, al protodiacono che prende il tranquillante più forte. Ci sono poi diversi attori non professionisti. Il cardinale cileno, uno di quelli che partecipano alla partita a carte, nella realtà è una comparsa, fa un altro lavoro. Sul set, scena dopo scena, ho capito quali erano i non attori su cui puntare e far diventare personaggi. Vorrei comunque sottolineare che un anno fa, per molte settimane, i giornali hanno parlato di scandali che coinvolgevano la Chiesa. Sia mentre scrivevamo, sia quando giravo ho preferito non lasciarmi travolgere da questi fatti. Chi voleva sapere ha saputo. Il film è un’altra cosa.