Il 20 aprile è stato presentato l’accordo tra Università IUAV di Venezia e Civita di Bagnoregio, per attivare lo studio e la ricerca su temi riguardanti il patrimonio architettonico, geologico e ambientale di Civita di Bagnoregio con l’obiettivo di definire le migliori strategie di tutela e conservazione da coniugare con lo sviluppo della fruizione e della valorizzazione di questo Borgo unico nel suo genere.
Civita di Bagnoregio che non vuole essere più “il paese che muore” come la chiamò lo scrittore Bonaventura Tecchi, ma diventare modello per la conservazione, la tutela del paesaggio italiano, modello di un futuro sostenibile dove la cura del bello, della storia della nostra identità possa unirsi allo sviluppo culturale ed economico che la nostra comunità insegue.
Per approfondire gli intenti dell’iniziativa abbiamo intervistato il prof. Paolo Crepet, promotore e responsabile scientifico dell’attuazione del protocollo d’intesa.

Prof. Crepet, da dove nasce la volontà di costituire un protocollo d’Intesa per la valorizzazione del Borgo di Civita di Bagnoregio?
Nasce dall’amore e dalla passione che io ho per questa cittadina e dall’idea che per salvare un borgo non basti solo l’economia ma è necessaria una riflessione sulla vita all’interno di questi luoghi. Io penso ad esempio che l’Italia abbia molti musei ma pochissima cultura sulla conservazione degli spazi. Civita a questo proposito rappresenta sì un modello di borgo medievale, ma anche qualcosa di più: l’idea stessa del vivere nel borgo.
Io ho scelto di vivere qui perché preferisco la concezione di villaggio a quella di metropoli, la cultura italiana nei suoi dettagli, nelle piccole gemme e non solo per le enormi costruzioni del Colosseo, San Pietro o Piazza San Marco. Il protocollo d’intesa nasce quindi anche dalla mia attività professionale, che si è avvicinata da sempre a queste tematiche, data la mia doppia natura di psichiatra ma anche di sociologo e psicologo. Da questo interesse nacque anni fa un libro con Mario Botta, “Dove abitano le emozioni”, che testimonia questa attenzione per gli spazi urbani, l’architettura e il saper vivere uno spazio, un luogo, in una determinata maniera.

In questi anni sono nate molte associazioni per la valorizzazione dei borghi nell’ottica più ampia anche di un ripensamento del PIL che alcuni studiosi hanno cominciato a sostituire con il FIL, la Felicità Interna Lorda, una misurazione quindi non solo economica…
Parlare di economia, di Prodotto Interno Lordo presuppone l’intervento anche di altri ambiti. Parlando di turismo, ad esempio, si parla anche della cultura di un luogo: l’enogastronomia, l’artigianato, le eccellenze locali, settori che rientrano sia nel Pil che nel Fil.
Dal canto mio, sono felice che stia pian piano finendo l’epoca dell’Italia industriale affinché si ritrovi nel nostro paese una nuova ragione di essere nel bello, nel grande artigianato di qualità, nell’accoglienza che non solo non produce meno della FIAT ma non distrugge tanto quanto hanno fatto le grandi industrie in questi anni.
Se si promuove questa bellezza, questo gusto, questo stile di vita, riusciremo nel tempo ad ottenere un’economia più forte che avrà bisogno della cultura per far rinascere il paese.
L’energia di cui ha bisogno un paese industriale, ad esempio, è maggiore di quella di cui ha bisogno un paese a vocazione culturale. E questa è già una buona notizia: significa che non avremo bisogno di centrali atomiche o simili sul nostro territorio e nemmeno di giganteschi parchi eolici che deturpano il paesaggio. Basterebbe ritrovare una sensibilità e un equilibrio energetico che non si realizza di certo con la fiammella delle candele ma neppure con i neon della Milano da Bere. Io sarei per dare ai giovani una precisa indicazione di vita, sarebbe un appello del tipo: “Giovani, andate via dalle metropoli, andate a gustarvi la qualità della vita dei piccoli borghi che tanto il vostro iPad vi permetterà di essere a San Babila in pochi secondi, senza bisogno di muovervi da casa”.

L’Enel ha individuato nell’area del Comune di Bagnoregio il sito per un nuovo parco eolico costituito da 20 pale alte ciascuna 165 metri, iniziativa di cui lei più volte si è detto contrario. Quali sono quindi i modelli economici con i quali volete far intervenire il privato?
Il privato potrebbe ad esempio investire nell’accoglienza. Qui abbiamo un ecomostro costruito negli anni ’60, nato per diventare una scuola ma che da oltre 40 anni è in totale stato di abbandono. Ora finalmente la proprietà è passata dalla Provincia al Comune e forse qualche progetto potrebbe essere portato avanti per riqualificare questo stabile, dandogli la vita che non ha mai avuto. Si trova infatti in un territorio straordinario, uno spazio che, con un project financing di 5/6 milioni e tramite un comodato d’uso di 40/50 anni potrebbe trasformarsi in un resort meraviglioso: un volano di sviluppo non indifferente che sfrutti il turismo di alta fascia trascinandolo da Siena in giù, valorizzando tutta una filiera di attrattori che andrebbero riconsiderati come ristoranti, prodotti tipici, artigianato locale…Pensi che in tutta la provincia di Viterbo e nelle vicinanze di Terni non esiste ad oggi un albergo a 5 stelle.
Altri privati, invece, hanno investito nel vino. La gestione di alcuni appezzamenti nell’orvietano ha dato vita ad un vino ottimo, che non produce come i grandi vigneti siciliani, certo, però di qualità.
Questa è economia. La pala eolica non è economia: lo è solo per i 18 mesi in cui 10 uomini in cantiere lavorano sul territorio  10, dopodiché deturpa solo il territorio.

Per questa iniziativa vi avvarrete del sostegno economico di 2 milioni di euro (da Ministero dell’ambiente e Regione Lazio) per il dissesto idrogeologico e di un contributo della presidenza del Consiglio dei Ministri pari a 850 mila euro. Come spenderete questo denaro e entro quanto tempo potranno essere visibili i primi risultati?
I 2 milioni di euro del Ministero dell’ambiente e della Regione Lazio fanno parte di un progetto più ampio di 120 milioni di euro stanziati per affrontare dei problemi gravi di dissesto geologico nel territorio. Con questi finanziamenti è stata fatta una richiesta ufficiale per la messa in sicurezza di una parte della sella del ponte (il lato sud nello specifico, che è quello più a rischio) che arriva a Civita di Bagnoregio. Per completezza aggiungo che sia attraverso la Protezione Civile che attraverso la Regione Lazio sono stati finanziati e realizzati dei progetti nel fronte nord (interessato più volte da frane) che è stato messo in sicurezza per 300-400 metri. Per la messa in sicurezza totale e per la valorizzazione estetica servirebbero altri fondi e altre idee su cui sto lavorando con Mario Botta, con Vittorio Gregotti e altri architetti. Pensiamo a delle idee che si avvalgano di bioarchitettura e che potrebbero portare una firma di design e di valore aggiunto al borgo antico. Su questo fronte potremmo pensare di coinvolgere delle fondazioni bancarie con una certa sensibilità verso il territorio, come il Monte dei Paschi di Siena, ad esempio.
Poi si pensa all’intervento di aziende leader nell’illuminazione affinché si possa illuminare con un criterio che valorizzi gli spazi tutto il borgo.
Avete intenzione di definire uno strumento giuridico che bypassi i vari livelli di governo per proporvi direttamente alla comunità europea?
Sarebbe interessante, certo. Il nostro obiettivo è innanzitutto quello di portare dei corsi che oggi si svolgono a Venezia qui a Civita di Bagnoregio. 15-20 studenti con relativi docenti e tutor sarebbero già una grande conquista a livello di accoglienza. Inoltre, tale microeconomia potrebbe mutare anche il tipo di cultura e di mentalità che aleggia in paese.
La seconda fase si potrebbe avere con dei seminari internazionali di architettura da organizzare direttamente qui, obiettivo a cui stiamo lavorando.
Avere poi una grande firma accompagnata ad un piccolo borgo potrebbe essere funzionale anche alla nomina di Civita come patrimonio dell’Unesco, titolo a cui aspiriamo.