Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Un’antica cittadina immersa nel verde dei Monti Cimini, dove ogni angolo profuma di storia e tradizione: siamo a Viterbo, provincia laziale anche nota come la Città dei Papi. E’ qui, tra i suoi palazzi e i suoi dintorni, che ha preso il via, l’8 luglio, la quinta edizione del Tuscia Operafestival, illustre evento di musica, danza e spettacolo, che si chiuderà il 15 agosto. La manifestazione sarà animata da ben 35 eventi, che spaziano su vari generi, dall’opera all’operetta, dalla musica sacra a quella jazz, dalla danza classica al flamenco. Ad orchestrare, è il caso di dirlo, tutti questi appuntamenti, è la sapiente regia del Maestro Stefano Vignati, direttore artistico, oltre che d’orchestra, del festival, affiancato da Raffaele Paganini, Luigi Martelletta, Antonino Fogliani, e molti altri.
Proprio dal Maestro Vignati siamo stati calorosamente accolti, il 5 luglio scorso, in occasione della conferenza stampa di presentazione del Tuscia Operafestival, e a lui abbiamo chiesto quanto l’evento sia importante per la provincia di Viterbo.
Dopo le smentite della crisi per il Festival Barocco, la troviamo intento a lanciare il Tuscia Operafestival, un evento davvero rilevante per la provincia di Viterbo. Che tipo di sostegno ha ricevuto il Festival da parte della città? Quale ruolo hanno svolto le aziende private locali? Che tipo di sinergie avete cercato?
Sono cinque anni che siamo “sulla piazza” con la musica, gli eventi, non solo in estate, ma anche in inverno, con “Impariamo l’opera” per i bambini, con i concerti di capodanno, per coinvolgere in ogni maniere e a tutti i livelli la cittadinanza. Cerchiamo dunque la massima collaborazione con gli assessorati: si parla di giovani e interagiamo con l’assessorato alle politiche giovanili. A livello di turismo portiamo 200-300 persone dall’Italia e dall’estero che fanno parte delle compagnie, delle orchestre e che soggiornano in città per oltre un mese, con impiego di alberghi, servizi, ristoranti, creando un indotto importante per l’economia locale. Stimoliamo l’interazione a tutti i livelli, considerato che siamo presenti anche in provincia, dove attiriamo molto pubblico. Per questo troviamo il sostegno del potere commerciale locale, anche se siamo in un periodo di crisi. Facciamo fatica con i fondi che abbiamo per organizzare il Festival: 20 anni fa il Festival con il budget che si ha a disposizione qualunque grande Festival avrebbe organizzato pochi giorni di programmazione Noi però continuiamo perché riteniamo che Viterbo, con la sua arte, storia, cultura e architettura, sia un luogo splendido e ideale per questo genere di evento, una città che non ha nulla da invidiare ad altri centri che ospitano festival già affermati.
In che modo intendete promuovere il Festival e Viterbo all’estero? Pensa di portare questa provincia ai livelli delle altre grandi città, sedi di eventi internazionali?
Ci sono due aspetti su cui stiamo lavorando: il primo è quello della promozione, che stiamo portando avanti soprattutto negli Stati Uniti. Quale direttore artistico del Tuscia Opera Festival e del Festival Barocco, il primo giugno scorso ho presentato questi eventi a Los Angeles, per mostrare agli americani che abbiamo intenzione di portare queste nostre produzioni culturali anche da loro. Il Los Angeles Times, che vanta ben 6 milioni di lettori, ha recensito per ben due volte i nostri Festival, mentre il Tg1 ha documentato questa uscita internazionale con tre servizi, illustrando l’incontro avvenuto all’Istituto italiano di cultura, con il console generale e le autorità. C’è quindi un tentativo concreto di portare Viterbo al di fuori dell’Italia.
Il secondo aspetto, che è ancora in via di definizione, intende, sia per il Festival Barocco che per il Tuscia opera Festival, avviare delle coproduzioni con altri teatri e altri eventi importanti. L’obiettivo è quello di diventare un polo di coproduzione sia di musica barocca che di opera.
Insieme al Tuscia Operafestival si terranno in Italia altri importanti festival, come per esempio quello di Ravello e quello dei Due Mondi a Spoleto. Pensa che sia possibile avviare una sorta di collaborazione con questi palinsesti?
Lo spererei, nel senso che con il tempo credo sia un progetto realizzabile. Anni fa ho avuto modo di conoscere il Prof. De Masi, ideatore ed ispiratore del Festival di Ravello, con cui avviai a suo tempo un bel dialogo che spero di poter riprendere anche nel senso di una collaborazione. Con il Festival di Spoleto credo che la cosa sia più difficile, perché è troppo vicino a noi, e c’è una bella concorrenza, o meglio, aspiriamo a poter diventare quel che è ora il festival umbro. Siamo nati anche in modi similari perché il Festival dei Due Mondi ha avuto origine in America ed è stato portato in Italia ad opera di Menotti; noi, inversamente, siamo nati qui e intendiamo esportarci all’estero.
La musica classica è spesso tacciata di non essere vicina ai giovani. Eppure è di questi giorni la notizia che La Fenice ha nominato come suo direttore principale il ventisettenne Diego Matheuz. Cosa pensa delle nuove leve del settore? Che programmi avete per avvicinare le generazioni future alla musica classica?
Noi già facciamo questo tipo di attività. Parte in questi giorni un corso di alta formazione per trenta giovani musicisti indetto dalla Regione Lazio e cofinanziato dal fondo sociale europeo. Li avremo qui per un anno a contatto con grandi artisti e professori, come le prime parti del Teatro dell’Opera. Da parte nostra c’è l’intenzione di promuovere i giovani in ogni momento dell’anno, come l’accademia internazionale che ospitiamo qui, che porta gli allievi sul palcoscenico e consente loro di esibirsi. Devo ammettere però che sono un po’ scettico nella scelta di affidare un ruolo così importante, come la direzione della Fenice, a professionisti troppo giovani. Le orchestre è bene che siano giovani perché c’è l’entusiasmo, la forza, anche quel non so che di naif che fa della musica una cosa interessante. Per la parte dirigenziale della musica, forse un po’ più di esperienza ci vorrebbe, dai direttori di orchestra ai direttori artistici, fino ai sovrintendenti dei teatri, considerato che hanno responsabilità abbastanza delicate.
Lei, Maestro, si trova a ricoprire due ruoli molto importanti: che tipo di similarità riscontra nel fare il direttore d’orchestra e il direttore artistico? Quali le difficoltà?
Lo dico da direttore di orchestra: la direzione artistica di un festival è una ‘via crucis’ che continua tutto l’anno. E’ molto interessante e dà tante soddisfazioni, ma è un lavoro massacrante. La direzione d’orchestra è per me il riposo: quando salgo sul palco e “lavoro” con l’orchestra è come se fossi in vacanza.