Sono definiti ecomostri o oasi per il ritrovo domenicale. Che li si odi o si ami in ogni caso fanno molto discutere. Nonostante questo, intorno al tema centri commerciali sono davvero tanti i punti che rimangono oscuri.
Difficile riuscire ad ottenere dei dati che li riguardino: nessuno è in grado di capire quanto fatturino nel complesso, quale sia la qualità e il livello occupazionale che offrono, a quanto ammontino le spese per il mantenimento dell’intera struttura. Questa carenza di numeri concreti è dovuta alla stessa organizzazione del “sistema centro commerciale”, che si sviluppa come organismo composito che riunisce al suo interno tante e diverse realtà, la cui caratteristica comune è quella di appartenere nella maggior parte dei casi a marchi di multinazionali famose.

L’unico dato certo è che in ogni luogo in cui sorge un centro commerciale, per i piccoli negozi presenti su strada cominciano i guai. Secondo Confcommercio e Confesercenti, negli ultimi tre anni a causa dell’apertura di nuovi centri sono stati 10 mila i negozi al dettaglio costretti alla chiusura, con una conseguente perdita del posto di lavoro per 50/ 60 mila addetti. Complice di questa situazione è stata sicuramente anche la crisi economica, ma un numero così elevato di posti di lavoro perduti difficilmente vengono poi assorbiti dall’offerta occupazionale delle attività presenti nel grande centro. “Queste grandi strutture non riassumono al loro interno quella che costituisce la variegata realtà del commercio di vicinato – Valter Giammaria presidente di Confesercenti ha un’idea molto chiara sull’impatto negativo che l’apertura di queste grandi strutture ha sul piano dell’occupazione – Inoltre con la chiusura dei negozi, le strade delle città si stanno desertificando, con una forte ricaduta anche sulla sicurezza stessa nelle piazze. A Roma, per esempio, le strade erano vivaci perché le piccole e medie attività commerciali rappresentavano le tradizioni e le caratteristiche peculiari di questa città ed erano un punto di aggregazione per gli abitanti di quartiere. Il comune dovrebbe porsi a salvaguardia delle attività del territorio e del commercio al dettaglio su base familiare”.

L’esempio della capitale in questi ultimi giorni è decisamente calzante perché proprio qui è nuovamente scoppiata la polemica. L’assessore alle attività produttive Davide Bordoni ha infatti confermato la prossima apertura di 16 nuovi centri commerciali nella città. Nonostante le rimostranze delle associazioni di categoria, l’assessore si è giustificato spiegando che queste aperture sono state approvate nel 2008 dalla passata amministrazione capitolina e pertanto sono irrevocabili. “In un momento come questo in cui c’è una forte crisi economica e dei consumi ma soprattutto in cui il mercato si presta alla speculazione della contraffazione e dell’abusivismo commerciale, il Comune dovrebbe sostenere il commercio dei negozi tradizionali e di vicinato che fanno vivere la città di Roma policentrica con i suoi 20 municipi” dichiara il presidente di Federabbigliamento Confcommercio Roma, Roberto Polidori, preoccupato che l’annunciata apertura delle nuove strutture possa aggravare irrimediabilmente la situazione già critica del commercio tradizionale al dettaglio, che rappresenta ancora il 40% circa della distribuzione nazionale. “Noi abbiamo chiesto una moratoria di due anni perché stiamo lavorando per redigere un piano delle strutture già esistenti per capire se Roma ha davvero bisogno di nuovi centri commerciali o se quelli presenti siano già sufficienti”. Il piano dovrebbe essere pronto per la primavera del 2012 in concomitanza con l’approvazione da parte del comune capitolino (con dieci anni di ritardo) del Piano del Commercio, che riguarderà solo la media e grande distribuzione. “In itinere ci sono due fasi di studio – continua Polidori – Con il comune stiamo lavorando per la realizzazione del Piano del commercio in relazione al piano regolatore generale della città, documento che doveva già essere approvato nel 1999, all’indomani del decreto Bersani sulle liberalizzazioni. Con la regione Lazio stiamo invece rivedendo la legge 33/1999 che regola con le dovute cautele l’apertura degli esercizi commerciali e tutta la materia del commercio”.

E intanto i piccoli imprenditori, artigiani e commercianti lunedì 21 novembre sono scesi in piazza con la Confederazione nazionale artigiani del Lazio per rivendicare il loro ruolo portante per l’economia italiana. Durante la manifestazione, Giovanna Marchese Bellaroto, presidente di Assocommercio Roma nord, contro l’espandersi di quelli che ha definito i “non luoghi” ha rilanciato la proposta di istituire i Centri Commerciali Naturali: riunire in una rete il tessuto commerciale già esistente delle piccole realtà presenti sul territorio per interagire con l’amministrazione e poter promuovere la funzione sociale dei negozi di vicinato anche al fine di migliorare l’arredo urbano della città. L’esperimento è partito a Roma qualche anno fa in diverse zone della città, tra cui Centocelle e Torpignattara. Si tratta di costituire una rete tra i negozi e le botteghe artigiane già esistenti in un quartiere per rivitalizzare le piazze e le strade delle città e per promuovere iniziative incentrate sullo shopping. Una soluzione volta non solo a difendersi dalla concorrenza dei megastore ma anche a valorizzare il commercio tradizionale che ha in sé tutti i presupposti per fronteggiare la crisi. Quest’ultima ormai ha raggiunto un livello endemico talmente elevato che attanaglia non più solo le piccole realtà, ma minaccia anche la sopravvivenza stessa dei centri commerciali già esistenti. Sebbene i dati ufficiali non si riescano ad ottenere, che la crisi sia presente anche all’interno dei megastore è percepibile dal frequente ricambio e dalla chiusura dei grandi negozi. Alla luce di questo rimane aperta la questione se la capitale abbia davvero necessità di nuove aperture di megastore o se queste non vadano pesantemente ad intaccare anche gli interessi dei centri già presenti. L’esempio di Roma è solo quello più recente. Situazioni analoghe potrebbero ripetersi in tutta la penisola.