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La querelle tra la direzione del Museo Riso di Palermo e l’Assessorato Regionale ai Beni Culturali sembra arricchirsi ogni giorno di particolari che contribuiscono a rendere il mistero sempre più fitto. Il Museo continuerà la sua attività? E i 12 milioni di Euro al centro della questione ci sono davvero?
In quella che assomiglia molto a una partita di ping pong, si alternano le dichiarazioni di Sergio Alessandro, direttore del museo, e di Sebastiano Missineo, Assessore ai Beni Culturali. Palazzo Riso chiude. Anzi no: non chiude.
Da un paio di giorni, poi, il sito del Museo è stato hackerato da un gruppo, che si firma “I cittadini per il museo Riso” e che ha rilasciato un comunicato stampa, dove si legge che “il movimento chiede alle istituzioni politiche della Regione Sicilia di fare immediatamente chiarezza sulla gravissima situazione di chiusura delle attività espositive del Museo Riso”, con l’invito a fornire chiarimenti “sull’iter burocratico che blocca il finanziamento di dodici milioni di Euro dei POR, che dal mese di febbraio 2012 avrebbero dovuto dare inizio alle attività coinvolgendo artisti, curatori, attori del sistema dell’arte e della cultura contemporanea, ma anche cittadini, famiglie, bambini che da anni usufruiscono delle attività didattiche e di promozione del Museo su tutto il territorio siciliano”.
E proprio questo è il nodo di tutta la questione. Quello che sta accadendo al museo Riso non è nuovo agli addetti ai lavori. Quando si parla di soldi pubblici la trasparenza dovrebbe essere regola inderogabile.
Se viene chiesto esplicitamente dai cittadini il rendiconto dell’iter burocratico di una cifra come 12 milioni – dei quali al momento non è chiaro se ci siano ancora, se siano spariti o se, effettivamente, non ci siano mai stati – forse significa che la trasparenza lascia un po’ a desiderare.
Ma forse quello che manca è anche una vera cultura della meritocrazia. Perché le eccellenze sono un po’ come i sogni, vanno protette. E allo stesso tempo le loro storie di successo devono diventare case histories conosciute a livello internazionale.
Così è sempre stato il museo Riso. Un polo culturale votato al Contemporaneo che – in una terra che da sola possiede il 30% dell’intero patrimonio archeologico italiano – con i suoi 100.000 visitatori all’anno è riuscito a essere il secondo museo più visitato dell’Isola. E questa non è poca cosa in una terra in cui le ingerenze della politica spesso portano a ritardi eccessivi nell’avvio dei progetti, che a volte rischiano di tradursi in stop definitivi.
Ma se un’eccellenza come il museo Riso rischia di chiudere i battenti per “la mancanza di certezze in merito ai fondi europei di cui, ad oggi, non si hanno notizie” – come sostiene il direttore Alessandro – ci sono altri musei siciliani che, nei mesi scorsi, hanno fatto parlare per gli sprechi di denaro pubblico di cui sono, tuttora, protagonisti. Un caso clamoroso è il museo di Ravanusa, nell’agrigentino, che nel 2010 si è distinto per il suo unico visitatore non pagante e per i suoi 10 custodi stipendiati. Ma non dimentichiamoci del Museo Archeologico di Caltanissetta che, a fronte di 1.437 € incassati dalla biglietteria, ha al suo servizio ben 21 custodi.
E se l’Assessore Missineo tiene a specificare che quello che la Regione cerca di fare è garantire musei gratuiti per scolaresche e studenti, ci viene da dire che, francamente, 21 custodi ci sembrano un tantino eccessivi. Perché forse con quei soldi pubblici si potrebbero finanziare più attività di marketing e comunicazione culturale. Si potrebbero usare i nuovi media e le nuove tecnologie per comunicare la cultura in modo innovativo. Più semplicemente, questo denaro pubblico potrebbe essere destinato a chi se l’è meritato, a chi è riuscito a diventare un’eccellenza e i soldi pubblici è riuscito a farli “fruttare” grazie a una struttura efficiente, di respiro internazionale e dotata di capacità progettuali. Si tratta di garantire alle istituzioni culturali efficacia ed efficienza, come farebbe qualsiasi buon imprenditore.
Del resto, secondo il Comitato di Sorveglianza del Po-Fesr, la Sicilia non brilla certo per la sua capacità di impegnare le risorse dell’Unione Europea: su 6 miliardi e 540 milioni di euro disponibili, solo 512 milioni sono stati impegnati. Un misero 7,8% del totale destinato alla Regione.
In un contesto simile, dove la vicenda del Museo Riso sembra solo la punta di un gigantesco iceberg, la priorità diventa, quindi, monitorare la “filiera” dei finanziamenti pubblici. Perché, se c’è chiarezza, c’è anche più speranza di meritocrazia. E se c’è meritocrazia, forse il mondo culturale di un Paese come l’Italia ha ancora una speranza per il futuro.