Chi di voi non ha un profilo Facebook? E quanti tra chi ne è privo non viene stressato dalle richieste di farlo da parte di chi lo possiede? Perchè è proprio questo il punto: il fatto di non esserci è come interrompere o diminuire una rete di condivisione, rinunciare ad una vita sociale sul web.
L’idea di partenza è semplice e banale e la si comprende già dal nome di quello che è il più famoso social network del pianeta, Facebook, termine con il quale negli Stati Uniti viene indicato l’annuario di foto di studenti che molti college pubblicano all’inizio dell’anno scolastico.Gli ingredienti di base del sito sono: una foto, un profilo, uno status moltiplicati per 845 milioni di utenti attivi che mettono in condivisione, in una rete più o meno ristretta, una quantità inimmaginabile di foto, video e Likes; è il secondo sito più visitato al mondo, dopo Google.
Tutto questo oggi, o meglio tra qualche mese, quando la società verrà quotata in Borsa, potrebbe ammontare ad una cifra da capogiro: ben 100 miliardi di dollari. Dopo Renren, social cinese che fu il primo tra i colleghi ad aprire la strada verso Wall Street agli inizi del maggio 2011, dopo Linkedin, Groupon e Zynga è la volta del colosso Facebook, fondato nel febbraio del 2004 dall’allora diciannovenne e studente di Harvard Mark Zuckenberg insieme ai suoi compagni di stanza, società che nel 2011 ha realizzato un utile netto di 668 milioni di dollari e un fatturato da 3,7 miliardi di dollari. Questi sono i numeri esibiti nei documenti per l’Initial public offering (IPO) della società, presentati alla Securities and Exchange Commission, ente analogo alla nostra Consob. Secondo le stime delle ultime settimane, il social potrebbe raggiungere una valutazione in Borsa tra i 50 e i 100 miliardi di dollari.
Dopo lo scoppio della bolla dei titoli Internet nel marzo del 2000, con la quale si è decretata la caduta della new economy, e una prima ripresa grazie alla quotazione di Google, dal 2011 si sta assistendo ad una grossa iniezione di liquidità da parte del settore dell’high-tech, accrescendo la speranza che possa diventare un traino per lo sviluppo e il recupero dell’economia mondiale. Gli analisti più scettici temono però una bolla speculativa dalle conseguenze imprevedibili sostenendo che il valore economico di un social network è nella sua esistenza on-line e non in prodotti tangibili. E non hanno tutti i torti se pensiamo a quanto è successo a Groupon: il sito ha raggiunto un IPO di 700 milioni di dollari ma nei giorni successivi il titolo ha subito un crollo del -42% portando ad una attuale capitalizzazione di 10 miliardi rispetto ai 16,7 raggiunti all’inizio.
Bolla o non bolla, l’entrata in Borsa di Facebook avrà degli enormi effetti, a cominciare dalla pioggia di denaro che colpirà dal suo fondatore ed i suoi ex compagni, a David Choe, artista di origini coreane i cui graffiti decorano le pareti degli uffici di Facebook e in cambio dei quali ha ricevuto una manciata di titoli che oggi valgono 200 milioni di dollari. Premiate anche le venture capital, come la Accel, che circa sette anni fa intravide le potenzialità del sito e decise di sostenerlo. Tra gli investitori ci sono anche delle sorprese come il cantante degli U2, Bono, che con la sua società di investimento, la Elevation Partners, possiede l’1,5% della società, per un ammontare di circa un miliardo di dollari (secondo il Telegraph l’equivalente di quanto Bono ha guadagnato in tutta la sua carriera di cantante). A parte l’aumento della popolazione americana di miliardari e milionari, che andranno ad arricchire le tasche di consulenti finanziari, agenti immobiliari e negozi di lusso, secondo alcuni come Mark Cannice, professore di innovazione imprenditoriale all’Università di San Francisco, l’entrata in Borsa di Facebook creerà un’euforia tale da far piovere finanziamenti su progetti simili e start-up nella Silicon Valley. Nuovo motore di sviluppo o costosissima bolla di sapone? Sarà tutto da vedere.