Erogazioni liberali, deducibilità, rapporti con il privato. Ecco la ricetta per la salvezza del patrimonio culturale. I soldi sono pochi, la cultura è benessere sociale, salvate i piccoli musei. Ma cosa è questa, cara redazione di Tafter: una notizia o il programma di un convegno del 1998?

Il tutto, perché (saggiamente?) qualcuno si è accorto che nello strano giro dei conti degli enti locali erano rimaste fuori – dal tritacarne del patto di stabilità – alcune forme di aziende pubbliche locali (istituzioni e aziende speciali). E allora ecco che riparte il coro dei lamenti: il 5 per mille alla cultura, l’otto per mille ai musei, iva più bassa, deducibilità più alta. Guardate quanto spende la Germania, udite le fanfara della Francia. Siamo allo zero diciannove del PIL. Il settore subirà una flessione del 20% (di cosa, non è meglio specificato). E noi, popolo di santi, poeti, artisti e navigatori, possiamo noi sopportare tutto questo?

Temo ce ne dovremo fare una ragione, se il tenore delle proposte rimarrà di quel tipo.

La crisi, invece, richiederebbe scelte (e proposte) coraggiose, strane, impopolari, arroganti. Ma forse decisive. Altro che “dateci i soldi”. Parlo di regole del gioco, meccanismi di potere e responsabilizzazione della classe dirigente.

Altro che il cinque per mille.

Il Paese, la sua cultura, i suoi musei potranno salvarsi solo se qualcuno prenderà il coraggio di ridisegnare i sistemi di valutazione dei dirigenti, quelli di assegnazione dei soldi (pochi o tanti, il problema rimane “come” assegnare le risorse). Se qualcuno avrà il fegato di affrontare i problemi del personale dei musei statali. Di decidere una volta per tutte non tanto “cosa è cultura” (discussione per me abbastanza noiosa e potenzialmente senza fine), ma cosa produce sviluppo (economico o sociale che sia) e decidere cosa deve essere ancora mantenuto dai soldi di tutti in un periodo di crisi, in cui sono innanzitutto a rischio le basi dello stato sociale (altro che lirica!).

Cultura cuore in allarme …  poche idee, sempre quelle. (cit. Lucio Dalla).