“Venti sono i dipinti da me scelti per cercare di tracciare, con piccoli appunti, le vicende salienti nella storiografia del paesaggio in Italia dal Trecento al Settecento, con l’intento di documentare, per sommi capi, in quale contesto prende forma la mostra che ci accingiamo a presentare a Milano, a Palazzo Reale, e in quale direzione si muoverà il concetto di “paesaggio moderno” e quali evoluzioni, nel tempo, andrà via via assumendo”. Inizia così l’interessante saggio introduttivo di Mario Lucco con cui si avvia il catalogo della mostra, ricco di schede monografiche e apparati iconografici, dedicata a Tiziano e la nascita del paesaggio moderno in corso al Palazzo Reale di Milano. Una mostra per certi versi “tradizionale”, almeno a considerare l’impostazione dell’allestimento molto essenziale: cosa rara in tempi in cui gli spumeggianti effetti speciali sono tra i punti di partenza per una “produttiva” politica di attrazione del pubblico visitatore.
Promossa dal Comune di Milano – Cultura, Moda, Design e Palazzo Reale, in collaborazione con Civita e GAmm Giunti, e curata da Lucco con un progetto espositivo di Tekne International, la mostra propone ben cinquanta opere provenienti da numerose musei europei e americani, come il Museum of Fine Arts di Houston, l’Institute of Arts di Minneapolis, l’Art Museum of Princeton University, la National Gallery di Londra, la Gemaldegalerie Alte Meister di Dresda, il Szepmuveszéti Muzeum di Budapest, le Gallerie dell’Accademia di Venezia e gli Uffizi di Firenze.
Non si poteva pertanto non avviare il percorso indagando la lezione di Bellini e Giorgione, nodale per la formazione di Tiziano, il quale in una lettera del 1552 indirizzata all’imperatore Filippo II parla con chiarezza di “paesaggio”, evidenziando quindi una certa consapevolezza concettuale e linguistica rispetto a questo “genere” della pittura moderna.
Da semplice sfondo, importante ma non propriamente basilare, a espressione autonoma dell’arte. Con una certa sintesi potremmo così riassumere il passaggio epocale che questa mostra intende raccontare attraverso diverse sezioni, accompagnate da stringati pannelli introduttivi scritti con un linguaggio semplice, efficace e quindi divulgativo, anche in linea con l’impostazione di molti dei volumi curati da GIUNTI proposti nel bookshop temporaneo allestito al termine del percorso espositivo della mostra.

Tra le mission della mostra, che al dire il vero non sono state appieno approfondite (e perseguite), vi è la proposta di riflessione sulla condizione odierna del paesaggio, grazie all’intensa testimonianza di Pierpaolo Pasolini per un’interessante trasmissione televisiva RAI degli anni Settanta.
La piccola stanza che ospita il contributo pasoliniano è stata allestita dal FAI che, non a caso, ha patrocinato la mostra, a cui si deve anche il recentissimo restauro della Villa dei Vescovi di Luvigliano di Torreglia (Padova), edificata tra il 1535 e il 1542, testimoniato in mostra da un breve contributo multimediale proposto all’interno del percorso espositivo.
Queste, come anticipato, sono però sollecitazioni troppo poco approfondite, così come il resto delle problematiche legate alla pittura di paesaggio. Sono problematiche evidenti all’interno delle singole opere, ma non adeguatamente e approfonditamente esplicitate nei pannelli didattici.

A differenza di altre recenti mostre allestite nel salotto buono delle mostre milanesi, questo progetto espositivo non prevede attività collaterali, ovvero laboratori didattici per bambini e adulti, momenti di approfondimento e pubblicazioni tascabili ed economiche destinate a un pubblico generalista. Se talvolta le società che perseguono gli obiettivi appena citati sono tacciate di produrre mostre troppo dozzinali e popolari – i cosiddetti mostrifici –, non si può negare che certi apporti, oltre a produrre fatturato, favoriscono l’interazione tra i non addetti ai lavori e i complessi temi della storia dell’arte. A voler ripensare quindi a questa mostra, a parte l’indiscussa qualità di alcune opere – si pensi alla Madonna col bambino tra i santi Caterina e Domenico, e il donatore di Tiziano, il Cristo con cimitero ebraico di Bellini o la Susanna e i vecchioni di Lotto –  vanno evidenziate tutte quelle criticità che fanno oggi di una mostra un punto nodale all’interno della pur veloce “formazione occasionale” di un cittadino, magari anche distratto, e di un turista che intende la visita di una mostra come un momento di svago, ma anche di stimolo per la sua visione dell’arte e quindi del mondo.

 
La mostra resterà aperta fino al prossimo 20 maggio.