Tutto iniziò con il recupero dell’ex opificio Carpano in via Nizza a Torino, complesso industriale attivo fino a metà degli anni Ottanta poi caduto in disuso. È qui che è nato l’esperimento dell’alta gastronomia a prezzi contenuti chiamato Eataly: uno spazio multifunzionale interamente dedicato ai prodotti agroalimentari italiani di qualità, alla loro distribuzione secondo i principi della eco sostenibilità, cercando di comunicare al contempo i metodi di realizzazione del prodotto e presentare da vicino quelli che sono i creatori di questa filiera produttiva, attraverso incontri didattici e convegni. Gli stessi prodotti esposti e commercializzati, inoltre, vengono utilizzati in loco per le attività di ristorazione.

Si tratta di un modo innovativo di concepire i luoghi dedicati alla ristorazione superando gli schemi convenzionali sia della grande distribuzione prevista dalle catene dei supermercati, i quali hanno rivoluzionato e stravolto il rapporto tra prodotto alimentare e consumatore, che la definizione stessa di ristorante di lusso, inteso come luogo spesso inaccessibile alla massa e riservato solo ad una cerchia di privilegiati.

Al fine di coniugare questi due aspetti, il marchio Eataly riunisce al suo interno diverse piccole aziende del settore enogastronomico: l’intento è quello di accorciare la catena distributiva e garantire in questo modo la tracciabilità dei prodotti, creando un rapporto diretto tra produttore e consumatore finale.

Partendo dal Piemonte, questo modello innovativo nell’arco di cinque anni ha conquistato il mondo riuscendo ad esportare, anche oltre oceano, la sua filosofia e il suo obiettivo: quello di aumentare la percentuale di consumatori consapevoli che scelgono di nutrirsi con prodotti di qualità e dedicare allo stesso tempo attenzione alla provenienza e alla lavorazione delle materie prime. La stessa direttiva che ha portato al successo l’associazione Slowfood, da cui il sistema Eataly ha appreso i principi sostanziali su un modo di alimentarsi “sano, pulito e giusto”.

Dopo essere sbarcato a New York e a Tokio, il progetto Eataly continua a diffondersi anche in Italia. La prossima inaugurazione è programmata per il 14 giugno a Roma, nella struttura che ospita l’hub della stazione Ostiense. Queste erano le prospettive sino alla scorsa settimana, quando i lavori sono stati fermati in parte del cantiere per riscontrate irregolarità nel progetto. In sostanza, c’è stato un aumento della superficie utile e della volumetria del fabbricato ( 3.124 metri quadrati eccedenti) per cui mancano i nullaosta dell’ufficio Condoni edilizi del Comune di Roma. La domanda per l’ampliamento delle cubature era già stata inoltrata dal 2004, ma questa era stata presentata incompleta e in attesa del responso dell’Uce ( Ufficio Condoni Edilizi) i lavori sono proseguiti. A rilevare l’anomalia è stato l’ufficio tecnico del XI Municipio della capitale, le cui autorità in ogni caso si sono dichiarate favorevoli alla realizzazione del progetto e a tutt’oggi si augurano che i permessi arrivino nei tempi stabiliti. Il presidente della giunta municipale, Andrea Catarci è consapevole delle potenzialità sia economiche che sul piano occupazionale che l’intera struttura garantirà al territorio circostante. La zona sottoposta a controlli all’interno del cantiere è quella del primi due piani dove, secondo l’architetto Clara Laufente, che ha curato la costruzione dell’edificio negli anni 90, non sono stati rispettare le volumetrie interne. I lavori del cantiere quindi stanno proseguendo solo nel terzo e quarto piano per non ritardare l’apertura, che dovrebbe essere contestuale all’inaugurazione del complesso all’interno del quale saranno ospitate la scuola di formazione e gli uffici della società ferroviaria Ntv.

Il progetto complessivo di ristrutturazione del terminal Ostiense non prevede dunque semplicemente la realizzazione dello store enogastronomico ideato dall’imprenditore torinese Oscar Farinetti. Il fine è quello di riqualificare e portare a regime questo terminal ferroviario, nato per i mondiali degli anni 90 e mai stato messo a profitto e potenziato. Invece di rappresentare un importante snodo ferroviario l’intera struttura è stata, al contrario, abbandonata all’incuria e al degrado. Sino a qualche mese fa a ridosso dei binari sorgeva una tendopoli nella quale da dieci anni vivevano un centinaio di cittadini afghani, che nell’edificio rimasto inutilizzato avevano trovato rifugio sicuro.

Una struttura rimasta per vent’anni inutilizzata e che dalla prossima estate potrebbe, grazie a questa riqualificazione, diventare un centro pulsante di attività finanziarie e portare uno sbocco all’economia della capitale in termini di indotto ed occupazione lavorativa ( solo Eataly garantirà uno sbocco occupazionale a 400 giovani). Per quanto attiene gli oneri concessori sono stati versati ad oggi 500 mila euro: forse al termine dei lavori, una volta arrivata la concessione edilizia del Comune, potrebbero addirittura triplicare rispetto al milione di euro previsti inizialmente. Tutti fondi che verranno reinvestiti per le infrastrutture dello stesso municipio XI.

Le polemiche sollevate in questi giorni relative lo svolgimento dei lavori (per quanto legittime e fondate perché è sicuramente corretto aspettare i documenti necessari per continuare i lavori a pieno regime) probabilmente sono state eccessive a fronte di uno stato di abbandono che perdura da più di dieci anni. Venerdì scorso la richiesta di condono edilizio è stata integrata con i documenti mancanti e l’avvallo dell’ufficio condoni del Comune dovrebbe arrivare entro i primi di maggio. Una empasse amministrativa che verrà pertanto risolta a breve e sembra dunque mettere fine alle discussioni di questi giorni.

Questa vicenda, tuttavia, ha posto nuovamente in primo piano quali siano le difficoltà del “fare impresa” nel nostro paese, dove i progetti di riqualificazione spesso vengono bloccati dai ritardi istituzionali. Pertanto non dovrebbe meravigliare l’assenza di investimenti da parte di imprenditori stranieri in Italia. Inoltre sarebbe interessante capire il motivo per cui determinate polemiche coinvolgono solo alcuni imprenditori tralasciando invece altri. Nel caso specifico della capitale e rimanendo sempre nel comparto della distribuzione alimentare, un paragone potrebbe essere effettuato con la contestuale costruzione del megastore Esselunga. La struttura dovrebbe essere realizzata nell’area periferica di Roma sud, sulla strada che conduce verso il litorale di Ostia, la stessa zona in cui sono stati ingenti i danni dell’alluvione dello scorso ottobre: i 100 mila metri cubi del centro sorgeranno a pochi metri dal quartiere dove c’è stata una vittima il giorno dell’alluvione e in cui è stato riscontrato un elevato rischi idrogeologico del terreno. Perché in questo caso si parla dell’argomento solo nella stampa locale, a proposito delle perplessità degli abitanti del XIII Municipio, mentre invece le polemiche a livello nazionale non sono ancora scoppiate?