Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Vista da fuori, l’iniziativa può dare l’idea di un colpo di reni in un momento così difficile, sia economicamente che culturalmente, di una città che negli ultimi anni ha fatto della cultura una chiave di lettura alternativa a quella della città-fabbrica. Tuttavia il progetto, fortemente voluto sia dal Sindaco Fassino che dall’Assessore Braccialarghe, ha da subito generato un certo malcontento nell’ambiente culturale torinese che, messo a dura prova dai tagli, non ha mancato di mettere in luci i molti punti deboli della nuova operazione: dalla scelta della direzione artistica, affidata all’eccentrico Dario Salvatori, alle date, lontane da quelle di altri festival coi quali sarebbe stato possibile creare delle sinergie; dal cast, ritenuto poco coerente, alle tempistiche della comunicazione; dalla definizione delle location, che a differenza delle premesse elettorali sono state scelte tutte in centro, al budget complessivo, vicino a 900 mila euro.
Queste osservazioni, che talvolta hanno preso la forma di un’aperta contrapposizione, fanno emergere almeno due questioni metodologiche: il ruolo e gli obiettivi degli assessorati alla cultura; i limiti e i metodi di valutazione dei loro interventi.
Proveremo ad argomentare questi due temi usando il TJF come “casus”, ma bisogna fare una premessa. Le deleghe degli assessorati comunali sono molto spesso composte in base alle competenze degli assessori e alle necessità emerse in fase elettorale. Quindi si possono trovare assessorati alla cultura e turismo, cultura e gioventù o cultura e sport. è facile intuire che tali fluttuazioni delle deleghe spostano notevolmente il senso delle scelte, ovvero della spesa corrente e degli investimenti.
Nella Giunta precedente, guidata da Sergio Chiamparino, l’Assessore alla Cultura della Città aveva deleghe sui giovani, ma non sul turismo, che invece era in capo al commercio. Oggi cultura e turismo sono gestite da Maurizio Braccialarghe, che subito dopo la nomina ad assessore ha iniziato a parlare di palinsesto culturale, mutuando l’espressione dal settore televisivo dal quale proviene, come dirigente RAI. In questa logica il TJF riempie una casella altrimenti vuota del calendario eventi di Torino; un calendario (o palinsesto) che punta ad aumentare i flussi turistici. L’obiettivo è condivisibile, ma ci porta al primo punto in analisi: il ruolo e gli obiettivi di un assessorato alla cultura.
Pur ammettendo che la cultura possa essere una leva per il turismo, bisogna definire il tipo di lavoro che s’intende organizzare per attrarre i turisti: la valorizzazione dei beni? I grandi eventi? Una rete di piccole attività dal basso? La risposta è facile: tutte queste cose e altre ancora, ma con quali risorse?
In una Città come Torino, in cui operano decine di organizzatori, se l’Assessorato alla Cultura invece di attuare delle policy in grado di attivare le risorse umane e materiali di agenzie private e partecipate, di associazioni e collettivi, inizia a porsi come player, determina almeno due effetti “negativi”: l’aumento dei costi per l’amministrazione e una forma di concorrenza sleale.
Gli assessorati alla cultura hanno oggi il compito di individuare gli obiettivi e di strutturare delle strategie capaci di raggiungerli, nel rispetto di una lunga e variegata lista di vincoli – economici, sociali, ambientali ovvero politici nel senso lato del termine – ma non spetta a loro raggiungerli, bensì agli attori del territorio.
Venendo alla seconda questione, possiamo dire che la valutazione dell’operato di un assessorato può passare solo dalla qualità dell’azione intrapresa, in altre parole dalla domanda: la strategia ha portato al raggiungimento degli obiettivi? Questi possono essere strettamente numerici, se per esempio si tratta quantificarne la ricaduta sul turismo, o “morali” se consideriamo la partecipazioni delle fasce più deboli della popolazione o la qualità della vita della comunità nel suo insieme.
Va detto però che nessuna strategia culturale, messa in campo oggi dagli Enti pubblici, può esimersi dall’essere “d’uscita”: è chiaro infatti che sarà sempre più a carico dei privati la sostenibilità di beni e attività culturali. Per questa ragione la credibilità dei progetti – tanto più quelli nuovi – è vincolata al “tetto” sia economico che temporale che l’organizzatore fissa. Ma se organizzatore e finanziatore coincidono, come nel caso del TJF, non sussiste la possibilità dell’uscita.
In chiusura si può azzardare il parallelo tra il ruolo rivestito dall’allenatore di una squadra sportiva e quello di un assessore alla cultura. Entrambi sono tenuti a coordinare le azioni senza scendere in campo, facendosi carico del risultato finale delle singole partite e dell’intero campionato. E se anche nessuno vieta che l’allenato sia anche giocatore, quando ciò accade significa che la strategia è venuta meno.