Mentre a Milano il Salone del Mobile sembra abbia rappresentato un autentico “segnale anti crisi”, con ben 400 eventi, i musei del Sud, e non solo, sembrano invece annaspare e ridursi purtroppo – è proprio il caso di dirlo – in cenere.
Era il mese di febbraio di quest’anno quando, non tanto per provocazione, il direttore del Cam (Contemporary Art Museum) di Casoria, Antonio Manfredi, aveva fatto recapitare al Cancelliere tedesco Angela Merkel il disperato invito ad adottare il suo museo d’arte contemporanea – chiedendo di fatto una sorta di asilo politico e culturale – per poter salvare il suo patrimonio e continuare la sua attività.

Il Museo di Casoria, con una collezione di circa mille opere di artisti nazionali ed internazionali del valore di 10 milioni di euro, aveva più volte subito minacce e atti di vandalismo in seguito alle mostre contro la camorra, tra la generale indifferenza delle istituzioni e degli organi di informazione.

Ma i problemi che ne impedivano e tutt’ora rendono pressoché impossibile la sua attività sono anche altri, comuni a tante altre realtà italiane che soffrono della crisi economica, dell’assenza di una politica a favore della cultura e di piani di gestione seri, sia a livello nazionale sia locale, e molto spesso della mancanza di personale qualificato tanto ai vertici istituzionali centrali quanto nelle sedi regionali e periferiche.

Dal Madre di Napoli, in fase di smantellamento, al Man di Nuoro, al Riso di Palermo, alla Galleria Civica di Trento, senza poter dimenticare il più recente commissariamento del MAXXI e le dimissioni del suo consiglio di amministrazione, non si può non notare un generale malessere che affligge i musei italiani.

Così, il 16 aprile è stato portato avanti un atto disperato, provocatorio e doloroso proprio da parte del direttore del Cam e del suo staff: il rogo di una delle opere d’arte della collezione permanente, la Promenade della francese Bourguignon, sacrificata per protesta fra la solidarietà della stessa Bourguignon e di tanti altri artisti. Antonio Manfredi ha sottolineato come l’assenza di attenzione da parte delle istituzioni sulle problematiche culturali sia inaccettabile e ‘scellerata’ e ha aggiunto che si continueranno a bruciare le opere del museo finchè non ci saranno azioni concrete per salvaguardare la realtà di Casoria: fondi adeguati alla gestione del museo e una sede più consona, rispetto all’attuale sottoscala di una scuola.

La mancanza di investimenti e quindi di una programmazione articolata ed efficace sta danneggiando trasversalmente strutture pubbliche e private e l’Amaci, associazione che riunisce ventisette istituzioni del settore culturale, ha chiesto un incontro con il presidente del Consiglio Monti e con il ministro della Cultura Ornaghi per segnalare le criticità del sistema museale dedicato all’arte contemporanea, ma anche per ‘dimostrare al governo la capacità dei nostri musei di generare cultura, educazione, formazione, occupazione e crescita economica in tutto il territorio nazionale’.

Riflessione questa che vale per tutti i musei e per l’intero sistema culturale italiano, che ha subito tagli pari al 50.5 % in questi ultimi anni. Non si capisce proprio il perché non si riesce e non si vuole attuare una seria politica a favore della cultura, come succede in molte altre parti d’Europa, dall’Inghilterra alla Germania – unico paese questo che non ha predisposto tagli alla cultura, ma che anzi ha investito nella qualità degli interventi con un approccio attento alle istituzioni ed al bene pubblico.

Troppo difficile imitare i tedeschi? Bene, perché non prendere come esempio la Francia, che con il Louvre ha non solo il museo più visitato al mondo secondo l’Art Newspaper, ma anche giovani emigrati italiani di eccellenza – troppo spesso in fuga dal disinteresse e dall’ostilità del Bel Paese – che qui ricoprono posti chiave, come ha scritto Gian Antonio Stella sul Corriere lo scorso febbraio.

Il Louvre, infatti, è un’imponente macchina che costa 240,5 milioni, la metà dei quali fondi pubblici. Incassa con le biglietterie 43.3 milioni, dei quali ben 10 milioni vengono spesi annualmente per nuove acquisizioni, e tra mecenatismo e donazioni di privati e imprese, ed altre entrate riesce a sostenere l’altra metà dei suoi costi non coperti dallo Stato. I cittadini – anche sotto forma di associazioni, prima fra tutte la Società Amici del Louvre – partecipano attivamente al benessere del Museo con donazioni finalizzate a vari progetti, come aperture di nuovi padiglioni e restauri di opere, che possono essere detratte per il 66% dalle tasse – solo per il 19% in Italia – e fino al 90% dalle imprese, secondo certi criteri ovviamente.

Se nel nostro Paese non siamo quindi minimamente incoraggiati a contribuire alle nostre numerose istituzioni di cultura, si continua ottusamente a fare affidamento sui finanziamenti pubblici mentre le entrate della biglietteria generalmente influiscono del solo 2% sul bilancio totale dei musei, troppo poco per mantenere in piedi strutture del genere, che – sempre come ha denunciato Stella – in Francia pesano sui cittadini per il 48% mentre in Italia addirittura l’89%, con risultati per nulla soddisfacenti o disastrosi è il caso di aggiungere! Perché quindi non copiare questi esempi e fare dei nostri centri culturali strutture autosufficienti, senza considerare lo straordinario potenziale dell’indotto turistico a cui verrebbe dato grande e vigoroso impulso, permettendo tra le altre cose allo Stato di riavere l’ammontare di denaro concesso mediante defiscalizzazione.