La grande crisi economica che a partire dal 2009 è al centro dei dibattiti nazionali, prima con atteggiamenti allarmisti o tralascisti e poi con semplici prese d’atto, si è estesa dalle piccole e medie aziende manifatturiere fino a travolgere le grandi multinazionali, l’epicentro del sistema economico, senza risparmiare nemmeno le grandi aziende finanziarie per eccellenza: le Banche.

Tanto da rendere evidente quanto, anche rispetto a quei temi che la maggioranza delle persone considera “laterali”(cultura, turismo, territori, beni culturali, creatività), sia necessario un ripensamento del ruolo che gli istituti di credito dovranno ricoprire nel futuro.

Particolarmente in Italia, paese che si regge su un sistema economico costituito quasi integralmente da PMI, le criticità e le tensioni del sistema interbancario si sono manifestate ancor più evidenti nella crisi di liquidità che ha portato le banche ad una forte restrizione del credito.

Tagliare l’ossigeno, già centellinato, all’imprenditoria nazionale, facendo ricorso a forme di accesso al credito bancario sempre più “blindate”, corrisponde a un lento suicidio della ricchezza nazionale.

D’altra parte, se la massiccia iniezione di liquidità da parte della BCE nelle casse delle banche nazionali ha dimostrato come il sistema sia fortemente sensibile agli stimoli esterni in termini materiali (monetari), il nuovo accordo sui requisiti minimi di capitale, noto come Basilea II, ha portato ad un inasprimento delle garanzie reali (già prima sovrabbondanti) richieste dagli istituti di credito ai fini della concessione dei finanziamenti, accentuando così le criticità di un sistema in crisi e inadatto alla crescita nazionale.

L’economia “sommersa” che annaspa per affermarsi e crescere, è fatta da una congerie multiforme di imprese giovani (di nuova costituzione) di giovani (under 35), che contengono in sé il germe per la futura competitività dell’Italia sui mercati internazionali. Il macro settore culturale, o se vogliamo settore dell’informale, è costantemente costretto al confronto (se non allo scontro) con un sistema del credito che lo costringe a barcamenarsi tra faticosissimi fondi e agevolazioni dedicati, prestiti d’onore, finanziamenti all’imprenditoria femminile,…

Sarebbe invece opportuno rivedere le barriere che impediscono ad un’impresa di nascere ed affermarsi, ragionare su un’impostazione delle garanzie commisurata al rischio richiesto non più in termini nominali quanto piuttosto ponendo alla base della valutazione la durata del progetto e il consolidamento delle relazioni.

Se la vera ragione d’essere delle Banche sta nella capacità di valutazione del rischio, e se, rispetto all’”immateriale”, il meccanismo di quantificazione monetaria, ora in crisi anche rispetto a mercati più strettamente di business, non è finora stato possibile e ha concesso risorse limitate al settore culturale, l’accesso al credito dovrebbe impostarsi su valutazioni ad hoc commisurate non più sui costi dei progetti quanto piuttosto sui piani finanziari, valutati in termini di ricadute territoriali, sociali, e, nel complesso, economiche.

La nuova sfida della Banca d’Italia si gioca proprio sul campo dell’uso delle garanzie, perno centrale su cui lavorare per la costruzione di un nuovo istituto capace di elevare l’Italia ad una dimensione internazionale, che le permetta il raggiungimento di quella famosa soglia del 20% del PIL nel settore culturale, turistico ecc..da raggiungere entro il 2020.