Tanti auguri cara mamma. Una frase semplice e forse ordinaria che molti pronunceranno il prossimo 13 maggio, in occasione della festività mondiale. Molti, ma non tutti. Perché avere una mamma a cui dedicare i propri auguri affettuosi non è sempre così scontato.
Se la figura materna in quanto guida nella propria esistenza sia convenzionalmente considerata fondamentale per la formazione e l’educazione dell’individuo, dovrebbe essere ovvio e assodato che anche il diritto di “diventare mamme” sia indiscutibile e garantito. Ebbene non è proprio così. Ad oggi sono circa 358 mila le donne che muoiono ogni anno durante il parto o per complicazioni legate alla gravidanza. In media una donna ogni 90 secondi.
Con una dovuta prevenzione e soprattutto con un’adeguata informazione moltissime di queste morti (sembra il 90% del totale) potrebbero essere evitate. Ed è per sopperire a questa mancanza di comunicazione che è nata la campagna “No mother’s day”, un’iniziativa provocatoria, ideata dalla ex modella newyorkese Christy Turlington Burns, per sensibilizzare tutte le mamme e le donne del mondo e renderle coscienti dei numeri del fenomeno. Il messaggio è contenuto in un video diffuso sul web e dai maggiori social network: le diverse testimonial famose ma anche tante donne comuni fanno un appello per partecipare attivamente, denunciando attraverso il proprio silenzio questa situazione ancora irrisolta, proprio nella giornata in cui milioni di mamme fortunate riceveranno fiori e biglietti. La proposta è quella di non aderire a questa festività e tacere, rifiutando di festeggiare, per far comprendere quale sia il vuoto immenso che lascia un genitore quando non può più parlare ai propri figli e per far capire quale sia l’assenza a cui sono condannati gli orfani di tutto il mondo.
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E per denunciare che non esiste solo il fenomeno della mortalità infantile: sono molte le donne che ogni giorno perdono la vita per donarla ai propri figli. E sebbene la percentuale dei decessi abbia registrato un netto calo dal 1980 al 2008, da 526mila a 358mila, la mortalità materna non è ancora stata del tutto debellata. Si tratta di un fenomeno che coinvolge maggiormente i paesi poveri, sottosviluppati o in via di sviluppo: in Zimbabwe ad esempio è aumentata del 5,5%. La maggior parte di queste donne sono in realtà ancora della bambine, tra i 15 e i 19 anni, che perdono la vita perché il loro corpo non è ancora sviluppato sufficientemente per sostenere e portare avanti una gravidanza. In altri casi, invece, la causa delle complicanze è dovuta alla mancanza totale delle cure mediche di base necessarie durante il periodo della maternità. E se questi casi sembrano estranei e lontani dal mondo occidentale, la realtà è ben diversa e anche il florido occidente non sembra essere immune da questo fenomeno: gli Stati Uniti, paese in cui la spesa per la ricerca sanitaria supera gli 86 miliardi di dollari l’anno, si classificano al 50esimo posto nel mondo per la prevenzione della mortalità dovuta a complicazioni durante la gravidanza. A subirne le conseguenze sono le donne afroamericane, appartenenti a minoranze etniche o a fasce della popolazione indigente che non hanno accesso alle cure ospedaliere, perché non riescono a sostenere le spese dell’assicurazione sanitaria.
Sono cifre che lasciano perplessi e sbigottiti, soprattutto in un territorio come gli Usa in cui le cure di base non sono limitate o inaccessibili perché è in corso un conflitto armato o una carestia. Sono numeri che confermano quanto anche nel XXI secolo, il diritto ad essere mamme non viene ancora pienamente tutelato. Ed è proprio dagli Stati Uniti che è partita questa campagna di sensibilizzazione diffusa sul web: un invito ad aderire al silenzio per richiedere a gran voce che il prossimo anno ci siano più mamme nel mondo e che a tutti i bambini venga garantito lo stesso privilegio fondamentale di poter crescere con la guida della persona che per nove mesi li ha ospitati amorevolmente. Per ribadire che essere genitori è sì una vocazione, ma anche un diritto che dovrebbe essere garantito a chiunque decida di intraprendere questa strada. Un cammino che dovrebbe portare alla felicità e non alla morte.

 

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