La settimana scorsa l’ultima versione in mani private del celebre L’Urlo di Edvard Munch è stata battuta all’asta per l’astronomica cifra di 119,9 milioni di dollari, la più alta mai offerta per un’opera d’arte. Nonostante queste cifre siano sicuramente inusuali, il mondo delle aste d’arte ha già vissuto episodi simili: due anni fa, il Nu au plateau de sculpteur di Pablo Picasso raggiunse i 106,5 milioni di dollari e, solo pochi mesi prima, la scultura L’homme qui marche di Alberto Giacometti fu venduta per 104,3 milioni di dollari.

Viene spontaneo chiedersi come possano essere giustificate quotazioni così elevate come quella del 2 maggio scorso visto il periodo di crisi economica e finanziaria mondiale. Proprio la crisi attuale e il crollo del mercato azionario stanno dirottando sempre di più l’interesse degli investitori verso investimenti alternativi come il mercato delle opere d’arte. Nonostante l’illiquidità e la mancanza di trasparenza del mercato, tra tutti i possibili asset d’investimento, quello dell’arte sta mostrando negli ultimi anni i migliori risultati in termini di rapporto rischio/rendimento (naturalmente parliamo di opere storicizzate).

È bene precisare che il mondo cui si fa riferimento è quello composto da attori facoltosi in grado di permettersi opere inarrivabili ai più; gran parte di questi nuovi collezionisti provengono da Russia, Asia e Medio Oriente e le loro disponibilità economiche permettono loro di assecondare qualsiasi desiderio artistico: basta pensare ai 250 milioni di dollari (cifra più alta in assoluto per un opera d’arte) pagati dalla famiglia reale del Qatar per l’opera di Cézanne, I giocatori di carte.

Attualmente si associano le grandi vendite di opere d’arte al concetto di asta e la ragione si cela dietro i meccanismi che regolano questo scambio di beni: un’asta è definita come il meccanismo di scambio delle risorse in cui il venditore cerca di ottenere il massimo profitto possibile dalla vendita, e il compratore cerca di assicurarsi il bene al minor prezzo possibile.
Quando il bene è raro o unico, come nel caso di un’opera d’arte, al venditore conviene offrire il bene attraverso un’asta, vendendolo alla persona che lo valuta di più e di conseguenza massimizzando i profitti. Pertanto, le aste di opere d’arte rappresentano un mercato vantaggioso per tutti: i collezionisti evitano galleristi e lunghe liste d’attesa per potersi aggiudicare le opere desiderate, i committenti massimizzano i profitti vendendo il bene a cifre superiori al valore di mercato e le case d’asta ricavano una percentuale dalle vendite.
Dietro questa situazione in cui apparentemente tutti escono vincitori ci sono una serie di meccanismi e strategie finalizzate a incrementare il prezzo di aggiudicazione: la confidenzialità garantita del prezzo di riserva, la predisposizione di cataloghi delle opere prima delle sedute, lo studio meticoloso della sequenza di vendita, la performance dei banditori, e il rispetto, giustificabile anche per motivi di sicurezza, dell’anonimato dei compratori.

In conclusione, pare evidente come la vendita di opere d’arte basata su meccanismi d’asta porti tutti gli attori convolti a trarre vantaggi economici e non. Tuttavia, questo costante rialzo delle quotazioni esclude musei, gallerie, e collezionisti medi da ogni tipo di trattativa, privando anche i cittadini comuni della possibilità di ammirare eterni capolavori che rimarrano privilegio di pochi facoltosi (e anonimi) compratori… Almeno fino alla prossima asta.