Come finanziare il mondo della cultura e come rivedere le regole di questo settore alla luce degli anni di profonda crisi economica che sta attraversando l’Europa. Cultura e finanza sono sempre più strettamente collegate tra loro, ma in un rapporto di gerarchia ancora molto marcato e troppo rigido nella sua definizione.

Sono questi i temi di cui si discuterà domani e il 12 maggio a nel convegno “On Financing of Arts” organizzato dalla Frankfurt School of Finance and Management e dall’European Academy of Cultural Affairs. E non sarà forse un caso che la sede dell’evento sarà Francoforte, il cuore finanziario del paese definito oggigiorno la “locomotiva d’Europa”. Da qui e dagli interventi previsti si svilupperà quella fucina di idee indispensabili per disegnare uno scenario futuro diverso, in cui venga sovvertito il rapporto tra arte ed economia. Sino ad oggi, infatti, il concetto di investimento in vista dei ricavi immediati e diretti che questi comportano, ha portato ad una scarsa considerazione degli investimenti culturali intesi come ricavi effettivi e valore aggiunto per la società. Questa idea è dovuta ad una concezione di “valore aggiunto” inteso in forma economica e monetaria, predominante in una società in cui le regole finanziarie e del mercato sono imperanti. Inoltre deriva da una scarsa fiducia nei confronti del “sistema cultura” incapace di sostentarsi in maniera autonoma e senza gli aiuti economici statali.

Una convinzione che in un momento di ristrettezza economica, in cui il modello finanziario dei mercati e dei ricavi immediati, sta portando al fallimento il sogno dell’Unione Europea, sta lentamente vacillando e provocando un sovvertimento di questi valori per creare un nuovo modello del rapporto economia- cultura.

Il primo intervento con cui si aprirà il convegno “On financing of Art” verterà proprio su questo argomento e darà il via ad ampie riflessioni e proposte concrete per la messa in atto: riuscire ad estrapolare il valore totale e completo della cultura e capirne gli effetti e le implicazioni più profonde sul contesto sociale e sul territorio in cui si decide di investire. Sovvertire dunque la gerarchia e riscoprire il valore autentico e originario della cultura, che non ha nulla a che fare con le ricadute economiche immediate, bensì con un processo di investimento più lungo nei tempi ma più ampio ed efficace nei risultati che porta alla creazione della ricchezza grazie alla didattica, all’inventiva e all’atmosfera creativa, ricadute naturali ed ovvie su un territorio in cui proliferano gli investimenti in questo settore. Conseguenze che vanno ad incidere sulla formazione delle nuove generazioni, forza e elemento fondante della società del domani.

Da queste considerazioni iniziali, l’11 maggio, seguiranno interventi più specifici volti ad indicare casi pratici di questa nuova concezione: le regole da adottare per valorizzare musei e le gallerie d’arte, i modelli di finanziamento per la cultura nei diversi paesi europei, il rapporto tra le sovvenzioni private e pubbliche e come queste possano integrarsi in maniera più produttiva tra loro, i fondi no profit e l’aiuto economico alle sale teatrali. Il 12 maggio si parlerà invece di donazioni ai musei, dell’arte come bene rifugio per gli investitori, fare impresa nell’arte per dare una panoramica esemplificativa di quali possano essere i metodi messi in campo per i finanziamenti culturali. Un modo per riflettere su quali saranno gli scenari futuri dell’economia e del suo rapporto con il mondo dell’arte.

 

Estratto dall’intervento introduttivo del prof. Stefano Monti e del prof. Michele Trimarchi

Economics of the arts is conventionally rooted in the publication of a research work focused upon the financial condition of the live performing arts in the US and in other advanced Countries (Baumol and Bowen, 1965). It was clearly related to the (still) prevailing economic paradigm which gives logic priority to the market performance and therefore considers public action a sort of residual tool aimed at correcting failures: since the arts organisations are unable to balance their budget through box office receipts then public support proves indispensable in order for them to avoid progressive contraction and eventual extinction.

Baumol’s analysis is well known. It has been adopted by many arts managers, who could justify their request of public funds with economic views; it has been criticised by economists whose horizon sometimes proves wider than simplistic textbook wisdom. Useful for teachers, convenient for managers, and comfortable for public decision-makers, Baumol’s analysis is not consistent with both the historical evidence and the present situation: the creation and production of the arts does not occur naturaliter in the market, often it has its origin and its position in a public or quasi-public eco-system. […]