L’aria che tira intorno alle cose culturali è incerta e fragile. Ne nascono nostalgie e proclami, ma sempre più spesso si cerca di fare il punto in modo concreto e condiviso. E’ un proliferare di manifesti culturali, di Think tank, di agende per la cultura e spesso tutto questo fermento ha trovato sbocco e rappresentazione in location molto belle, affascinanti e di livello, con convegni, tavole rotonde, incontri di varia natura cui hanno partecipato nomi illustri  e di spicco del nostro panorama nazionale (politici, progettisti , tecnici, tuttologi).
Queste personalità si  sono sedute, si sono confrontate e alla fine hanno sempre messo in fila pochi ma forti punti di proposta e nuove visioni del problema e degli scenari possibili. Varie volte sono emerse anche soluzioni legate al buon senso, in altre circostanze invece sono state manifestate posizioni poco condivisibili quando non addirittura illogiche.

E’ mancato tuttavia il passaggio da tali atti di posizionamento culturale e strategico, spesso tanto nobili e perfetti quanto astratti e teorici,  al parlare anche di bilanci, di coperture economiche e delle necessarie allocazioni di risorse. I manifesti vanno bene, aiutano a ragionare insieme, e magari spingono a spostare il piano da confortanti luoghi comuni all’identificazione delle questioni irrisolte. Si tratta di declinare con  precisione criteri e meccanismi, strumenti e obiettivi, orizzonti temporali e ambiti spaziali. Dire tanto può essere un fermento, ma anche una bizzarra repubblica di ispirazioni e desideri. Servono i progetti, le regole, le responsabilità degli oneri e solo dopo riflettere sugli onori.