Dopo la serie di interviste che hanno delineato i profili dei distretti culturali attivi in Lombardia, siamo andati dal deux ex machina, ovvero la Fondazione Cariplo, ente che ha investito notevoli risorse economiche, ma soprattutto progettuali e di coordinamento, per avviare un percorso di  sperimentazione rivolto ai territori per Governance locale dove le filiere produttive si integrano con la cultura.

Abbiamo intervistato Alessandro Rubini, project leader del progetto Distretti culturali.

Perché Fondazione Cariplo si è così fortemente impegnata con i territori locali, proponendo in autonomia un progetto di Governance rispetto alle Istituzioni Pubbliche?
Fondazione Cariplo ha un ruolo sussidiario, ma non complementare all’Ente Pubblico: ciò significa che non sostituisce né completa ciò che l’Ente Pubblico non riesce a soddisfare in termini di esigenze dei territori.
Spesso svolge un ruolo anticipatore: analizza i bisogni del territorio e cerca di identificare delle soluzioni sperimentali per soddisfarli, potendo permettersi più rischi, come investire su un’unica linea progettuale e poi verificarne  i risultati.
Spesso la Fondazione anticipa l’Ente Pubblico nell’individuazione di nuovi percorsi di gestione e aree di intervento, ma restituisce sempre l’esperienza maturata alla funzione del Decisore pubblico che traccia le politiche dei territori. Diciamo che ha una funzione di preventiva verifica della sostenibilità di certe operazioni.
La Fondazione tiene un dialogo di tipo istituzionale con il Pubblico, che ne riconosce il ruolo sussidiario. Rispetto al tema della concertazione, Fondazione Cariplo ha informato e aggiornato gli Enti Pubblici del progetto dei Distretti culturali. È stato stilato un protocollo d’intesa con la Regione Lombardia per integrare tutti i piani strategici e i piani finanziari. Dunque la Regione è in qualche modo partner dell’iniziativa: attraverso il progetto integrato d’area PIA, senza vincolo del co-finanziamento. Ognuno ha poi condotto la propria attività di rendicontazione.

Come avete effettuato lo studio di pre-fattibilità? Avevate individuato i bisogni dei territori dalla vostra esperienza e conoscenza?
Il progetto si è articolato in quattro fasi. Attualmente siamo alla quarta.
La prima fase ha impegnato la Fondazione Cariplo nello studio di fattibilità del progetto Distretti culturali: sono state effettuate valutazioni e verifiche sulla sostenibilità di un modello così sfidante. Si è effettuata un’analisi del territorio di riferimento, ovvero la Lombardia e le province di Novara e del Verbano-Cusio-Ossola, dal punto di vista del suo profilo, per riscontrare una predisposizione alla sperimentazione di questo sistema distrettuale, che essenzialmente integra la filiera culturale con il tessuto produttivo locale.
Lo studio ha dimostrato la fattibilità di questa integrazione, con le dovute cautele e criteri. A quel punto la Fondazione ha lanciato un bando rivolto ai territori: piuttosto che intervenire direttamente, si è preferito lasciare i territori liberi di candidarsi, per evitare formule troppo top/down e stimolare i processi spontanei di emancipazione.
Fondazione Cariplo mantiene la regia del progetto, ma lo fa con volontà “maieutica” cercando di stimolare il territorio ad affrontare autonomamente nuove sfide. Noi abbiamo posto gli obiettivi, lasciando i territori autonomi nel procedere …

Una co/progettazione…
Non direi. La progettazione è interamente affidata ai territori. Noi abbiamo fissato la meta da raggiungere e abbiamo ri/orientato la loro visione strategica verso quell’obiettivo.

Dunque e’ in questa fase che siete entrati nella fase di scrittura dei progetti che ogni Distretto ha elaborato..
Certo, ma prima abbiamo verificato l’interesse stesso dei territori. Nel bando erano già segnalate le regole per la stesura dello studio di fattibilità operativa. Quindi ci siamo impegnati anche nella seconda fase di progettazione, finanziandola fino al 70%, dunque coprendo una buona parte dei costi. Dopodiche’ abbiamo dichiarato da subito che eravamo disposti a co/finanziare l’eventuale Distretto culturale fino a 4 milioni di Euro, indicando che ci saremmo mantenuti al di sotto del 50% dei costi previsionali di gestione che i Distretti stavano pianificando. Il committment da parte degli enti locali coinvolti nel progetto Distretto è stato misurato anche dalla capacità di attivare le risorse economiche necessarie per completare il piano economico, sin dalle prime fasi di progettazione.
Man mano ci sono pervenuti gli studi, e sono stati selezionati quelli piu’ rispondenti agli obiettivi che avevamo posto, ovvero undici. Per ciascuno abbiamo stanziato il finanziamento dichiarato. Questo percorso di accompagnamento ci ha impegnati per quasi due anni, nei quali abbiamo calendarizzato incontri periodici con i gruppi di lavoro, in cui restituivamo feedback su quanto avevano realizzato fino a quel momento.

Avete individuato voi i gruppi di lavoro che rappresentano i territori, grazie a pregresse esperienze o si sono formati e candidati da soli?
I territori stessi si sono auto-organizzati. L’unica condizione che abbiamo posto e’ stata la presenza di diverse professionalita’, per garantire la multi/disciplinarieta’ del gruppo di lavoro. Nelle nostre intenzioni era fondamentale che diversi punti di vista e lettura dei territori fossero rappresentati.
Le scelta delle persone in qualità di consulenti e fornitori e’ assoluta responsabilità dei territori. Noi, come Fondazione Cariplo, non siamo entrati nel merito: il territorio e’ arbitro nelle sue scelte. I referenti dei gruppi di lavoro sono tutti rappresentanti pubblici delle amministrazioni sui territori.

Ma a cosa e’ dovuta invece la molteplicita’ di enti gestori, che si dividono fra una comunita’ montana, un corsorzio, delle province, una fondazione di sviluppo?
Fin dall’inizio i territori hanno individuato un Ente capofila per partecipare al Bando. Nel caso dell’Oltrepo’ mantovano, inizialmente è stato un Comune che ha trascinato una cordata di enti locali, ma poi hanno ritenuto che l’ente vocato a esercitare il ruolo di capofila fosse il Consorzio dei comuni dell’Oltrepò mantovano. La continuità del processo è stata rappresentata dal gruppo di lavoro locale che è rimasto costante dalla fase di progettazione a quella di realizzazione e costituisce il capitale umano fondamentale per lo sviluppo del distretto culturale.

Che cosa accadeva negli incontri periodici?
Come dicevo, abbiamo fornito delle linee guida per scrivere lo studio di fattibilita’ operativa, esplicitando cosa ci aspettavamo, quali erano gli obiettivi e le dimensioni da presidiare: gli interventi sul patrimonio, i beni immateriali, le scelte di governance, piano di gestione economico e finanziario…
Periodicamente i candidati ci inviavano gli avanzamenti dei lavori. A seguire organizzavamo degli incontri di confronto tra noi e loro. Un processo sicuramente lungo, ma non  unicamente una fase di desk poiché i gruppi lavoravano concretamente con gli attori del territorio per creare un distretto culturale, non simulavano come in un’aula di formazione. Questo processo richiedeva la capacitazione delle persone, l’informazione, la comunicazione, il coinvolgimento e la condivisione strategica di tutti gli attori coinvolti, che culminava anche con l’impegno finanziario, ovvero la presa in carico dei costi da parte dei Comuni e dei privati, in veste di co/finanziatori a fianco di Fondazione Cariplo.
Il processo di studio si è alimentato per due anni: attraverso questi incontri noi cercavamo sempre di mettere alla prova la solidita’ dell’impianto progettuale, per evitare che ci venissero proposti modelli insostenibili.
Quindi abbiamo richiesto documentazioni supplementari, report, stimoli e sollecitazioni che hanno implicato uno sforzo ulteriore nel rafforzare questa compagine.
Degli undici studi ne abbiamo scelti 6, perché erano i più solidi e convincenti nell’attivazione del distretto culturale.

Quali sono i modelli di riferimento che hanno guidato l’impianto progettuale: la vostra esperienza pluriennale o piuttosto modelli europei, o di altre regioni, nazioni?
Direi piu’ la prima alternativa. Negli anni abbiamo commissionato e finanziato una serie di ricerche sui distretti culturali e ci siamo confrontati con le teorie di Valentino, Santagata, Sacco.
Tuttavia nella prassi, le esperienze sono molteplici, difficilmente riconducibili a un unico riferimento. Non abbiamo mai seguito un unico modello, ne’ abbiamo chiesto ai territori di farlo. Per noi erano chiari l’obiettivo di valorizzare il patrimonio culturale attraverso l’integrazione della cultura con le strategie di sviluppo del territorio, ma abbiamo lasciato che le strategie dei diversi distretti emergessero spontaneamente.
Volta per volta abbiamo valutato la coerenza, l’affidabilita’ di quanto ci e’ stato proposto, la percorribilita’ e su questo abbiamo speso la nostra esperienza progettuale, anche con l’aiuto di un comitato scientifico.
Un unico modello distrettuale non può sussistere anche per la diversità delle sei esperienze territoriali, che traducono diverse scelte di Governance, di sviluppo strategico, di interpretazione stessa del concetto di cultura e di identità territoriale.
Per esempio, nei casi di Cremona o Regge dei Gonzaga e’ molto forte l’aspetto tematico, mentre per l’Oltrepo’ mantovano prevale l’aspetto della territorialita’, della comunità che si riconosce in una cultura rurale. Le cose sono andate così, i territori hanno creato un loro modello di distretto culturale e su quello hanno lavorato. Questa stessa liberta di scelta ha liberato creatività, motivazione e idee basate su precisi punti di forza.

Chi sono gli altri territori candidati?
Altri territori della nostra regione, i più diversi. Pur nell’ottima qualità dei progetti, quello che e’ mancato loro in molti casi e’ stato proprio il salto distrettuale, ovvero la capacita’ di integrare il lavoro sulla cultura con il lavoro sull’impresa. Non dimentichiamoci che quasi tutti hanno presentato le proposte nel 2010, dunque in un momento di crisi politica, finanziaria e istituzionale senza precedenti; la valutazione di sostenibilità dei progetti è stata inevitabilmente severa. Di fronte a ipotesi troppo aleatorie non ci siamo sentiti certi della solidita’ delle proposte. Comunque gli studi e la formazione sono stati co-finanziati per tutti.

Avete monitorato anche le infrastrutture dei territori, aldila’ dei beni artistici presenti, come strutture ricettive, strade, collegamenti?
Lo studio di fattibilita’ operativa si differenzia un po’ da quelli che sono i piani di gestione dei siti UNESCO per esempio, poiche’ non prevedono il turismo come elemento centrale per lo sviluppo del territorio. Poteva essere una via logica quella di lavorare sull’ integrazione della filiera culturale/filiera turistica. Ma ci interessava di più il binomio impresa/cultura.
Ovviamente i territori si sono confrontati con le loro dotazioni infrastrutturali, intese anche come infrastrutture della conoscenza, ovvero le universita’, le scuole specialitische, i sistemi culturali.
Se il distretto culturale si orientava su un obiettivo strategico legato al turismo internazionale, per esempio, doveva studiare l’integrazione con le infrastrutture di richiamo per il turismo, a partire dai trasporti. In alcuni casi invece, il turismo non e’ stato individuato come asse strategico dunque è rimasto marginale. Ad esempio, il Distretto di Monza e Brianza si e’ focalizzato sulla creativita’ d’impresa: in questo caso le infrastrutture considerate sono state di altra natura. Dunque, da un’analisi generale, ogni Distretto ha valorizzato le infrastrutture più strategiche per i suoi obiettivi di sviluppo.

I Distretti Culturali hanno diversi profili, nelle quali si evidenziano anche degli opposti: da Monza e Brianza focalizzata sulle imprese creative, alla Valtellina che lavora sulla valorizzazione del paesaggio. Come vi siete confrontati con una varieta’ cosi ampia? Quali linee comuni avete dato? Come avete costruito un linguaggio condiviso, nella molteplicità di posizioni?
Questa e’ stata una fase sfidante del nostro percorso.
Il processo verso l’attivazione dei distretti culturali è servito anche a far maturare e rafforzare le eccellenze locali, per esempio nell’Oltrepo’ mantovano o in Vallecamonica. Pur essendo aree periferiche nella geografia della regione, dunque meno esposte a un certo dinamismo e visibilità tipico di un grande centro come Milano, hanno condiviso esperienze di grande maturità e obbiettivi comuni, relazionandosi allo stesso livello.
I referenti si sono trasformati in ambasciatori locali, portatori di un metodo che si e’ rivelato vincente, quello dell’integrazione della cultura con l’impresa. Questo è dimostrato anche da un altro indicatore: l’ottenimento di finanziamenti anche dalla Regione Lombardia, manifestando un’ottima capacità di drenaggio di fondi.
Quindi evidentemente ogni territorio ha i suoi punti di forza e di debolezza.
Milano si caratterizza per un contesto culturale e intellettuale dinamica, esperienze e realtà consolidate, una grande offerta, ma non riesce automaticamente a costruire rete. Invece, in aree come l’Oltrepo’ mantovano, la collaborazione e’ metodo di lavoro, l’inter-istituzionalità diventa il metodo di coordinamento. Uno dei problemi principali che si riscontrano nel mondo culturale e’ l’apertura del dialogo fra Enti diversi. Ma proprio in questo risiede il metodo di lavoro, quella cultura fondamentale e necessaria per concretizzare il distretto.  La propensione al dialogo, che può sembrare un obiettivo modesto, non va data per scontata ed è la base sulla quale costruire il processo distrettuale. A volte la resistenza al dialogo si manifesta paradossalmente all’interno della stessa istituzione, oppure all’interno della stessa filiera. Far parlare il mondo dell’ amministrazione della cultura, con il mondo dell’impresa e industria è spesso difficile. Ma il senso è proprio il coinvolgimento, la messa in rete e la costruzione comune di progetti. Su questo vanno spese alcune riflessioni: se si coinvolgono le imprese unicamente come fornitori di servizi non ci si può lamentare che esse abbiano un approccio  commerciale orientato al proprio profitto. Se invece lo si coinvolge sin dalla fase dell’elaborazione strategica, facendo leva sulla sua capacità imprenditoriale, la sua prospettiva può cambiare, poiché si sente parte di un processo e lavora per e con gli altri attori.
Questo è il fine ultimo del progetto Distretti Culturali: legittimare questi percorsi. Un primo grande risultato l’abbiamo ottenuto con la nascita dei 6 distretti, ovviamente con tutte le difficolta”  operative politiche e istituzionali del caso.

Dopo tre anni, cosa succederà? Fondazione Cariplo lascera’ i territori? Prevede la nascita di un nuovo ente, l’istituzione “distretto”?
Non lo so per certo, ma possiamo avanzare delle ipotesi.
Nello studio di fattibilita’ operativa abbiamo chiesto di programmare nel dettaglio anche i flussi di cassa del primo triennio, ovvero il periodo temporale che coinvolge Fondazione Cariplo. Poi abbiamo chiesto di studiare la sostenibilità futura, per mettere da subito a frutto l’investimento di energie e risorse messo in campo.
La fase post progettuale e’ la piu’ importante per i Distretti: i nostri stimoli esterni diminuiranno, ma a favore della legittimazione della cultura distrettuale, perché sia per tutti conveniente mantenerla, una volta sperimentata. L’incentivo finanziario dato da Fondazione Cariplo ha un peso rilevante, come il processo di affiancamento. Ma progressivamente  stiamo favorendo i Distretti nella loro emancipazione.
I distretti stanno accumulando progettualita”: per esempio la Valcamonica oggi ha un perimetro finanziario superiore a quello che ci ha presentato, perchè e’ cresciuta, trovando altri finanziamenti. Questo è un risultato notevole, che dimostra la maturità del distretto. Noi non sentiamo di dover essere coinvolti nella rendicontazione di questa crescita. Un altro indicatore positivo e’ la proposta di workshop, nei quali i distretti parlano delle loro best practices agli altri distretti in un virtuoso scambio di visioni.
Altri distretti pensano già all’evoluzione della loro governance, cioè a come mantenere certe metodologie di lavoro, affinché gli attori coinvolti trovino utile continuare a mantenere questo processo.
Con l’avvio del progetto la curiosità, la disponibilità di investimenti hanno animato le azioni di progettazione e coinvolto tanti attori, ma successivamente il  tavolo distrettuale diventerà importante per le decisioni che vi vengono discusse, per le strategie di sviluppo dei territori. Non se ne potrà stare fuori.
Questo crea cultura distrettuale: quando le persone, gli Enti capiscono che ciò che fanno gli altri e’ importante anche per loro stessi, e ciò che loro fanno e’importante per gli altri. Questo è il vero coordinamento: non piu’ un costo ma una necessità sentita, una passione, una parte del lavoro.
Alcuni territori sono molto avanti in questa visione, potendo contare su forti processi di collaborazione e confronto. Altri fanno fatica perché devono ancora legittimarsi, in quanto deboli da un punto di vista strutturale. Ma gia’ adesso si orientano a pensare in maniera distrettuale. Quello che cerchiamo di far capire e’ che non e’ importante che un’azione abbia senso in sè, ma che acquisisca senso in funzione delle altre, perchè solo cosi si solidifica e genera una moltiplicazione virtuosa, altrimenti il distretto rimane una sommatoria di tante azioni e progetti e la prospettiva rimane individualistica e frammentata.

E’ una sorta di rivoluzione culturale
Speriamo! Intanto portiamo avanti questa sperimentazione e osserviamo i suoi frutti.

Immaginate di aprire un nuovo bando per i Distretti culturali, di dare altre possibilità?
No. Questo è stato un investimento molto importante per noi. Dobbiamo seguirlo fino al suo compimento, quando il piano di erogazione sarà concluso e i territori saranno autosufficienti. Nel frattempo presentiamo questa esperienza con vari strumenti di divulgazione e la studiamo.

 

Leggi le altre interviste ai Distretti Culturali:
Distretto Culturale della Valcamonica
Distretto culturale dell’Oltrepo mantovano
Distretto culturale della Valtellina
Distretto culturale di Cremona
Distretto Regge dei Gonzaga
Distretto culturale evoluto di Monza e Brianza

Le foto, nell’articolo e in galleria sono di Luca Arzuffi – Fondazione Cariplo