Tempi di ristrettezze anche per le calamità naturali. Ogni qualvolta nel nostro paese, dove l’equilibrio del territorio è delicato e forte è il rischio idrogeologico, avviene una terribile catastrofe naturale, a seguito dei primi soccorsi sul campo inizia un lungo percorso di ricostruzione che spesso non arriva mai alla fine. Le “fasi di emergenza” che seguono a terremoti, eruzioni di vulcani, alluvioni perdurano interminabili e, pur rimanendo le complicazioni e i disagi, con il passare dei giorni il clamore mediatico si affievolisce.

La riforma della Protezione Civile messa in atto dal governo tecnocratico guidato da Mario Monti aveva come scopo proprio la riduzione del periodo considerato d’emergenza, che corrisponde ai giorni in cui lo Stato si fa carico delle spese per fronteggiare le criticità ed avviare la ricostruzione. Così, il decreto di riforma della Protezione Civile pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 16 maggio prevede la riduzione di questo periodo ad un massimo di 60 giorni, prorogabili eccezionalmente per altri 40. Successivamente lo status di emergenza decade e, con esso, gli oneri da parte dello Stato. Oneri che in realtà non saranno eccessivamente gravosi. All’interno dello stesso decreto, infatti, ci sono due importanti novità: la prima attiene la “tassa della disgrazia”, ovvero il rincaro sulle accise dei carburanti che le Regioni avevano l’obbligo di applicare, in caso di emergenze da fronteggiare, che ora non sarà più un obbligo bensì a discrezione della regione stessa; la seconda riguarda l’esonero dello Stato nel farsi carico attivamente degli interventi necessari per ridurre i danni subiti dai fabbricati, case ed edifici. I cittadini, dunque, saranno chiamati a fronteggiare singolarmente queste spese attraverso la stipulazione di polizze assicurative. Queste potranno essere detratte servendosi delle agevolazioni fiscali per chi si assicura. In sostanza, lo Stato non è più in possesso di risorse finanziarie per risarcire i cittadini. E di fronte ad un aumento smisurato del costo della benzina forse aggiungere un ulteriore rincaro in termini di accise non sarebbe stato ben visto.

All’indomani del terribile terremoto che ha colpito l’Emilia Romagna rileggere questo provvedimento suscita alcune riflessioni, soprattutto per la coincidenza nefasta che ci porta a confrontarci direttamente con le sue conseguenze. Premesso che si tratta di disposizioni transitorie e a fini sperimentali, forse bisognerebbe domandarsi se realmente questa era l’unica strada per limitare i costi di un’emergenza.

La maggior parte delle mal sopportate accise sulla benzina sono residui di emergenze già superate da anni, di cui non è chiaro il motivo per cui si continuano a pagare. Dal momento che non è mai stato fermato questo afflusso di denaro nelle casse statali, la strada più semplice sarebbe potuta essere quella di destinare queste accise aggiuntive, di volta in volta, alle nuove emergenze che si presentano, eliminando dalla lista le calamità superate da tempo e semplicemente cambiando destinazione a questi finanziamenti senza dover ricorrere a balzelli aggiuntivi che avrebbero messo in difficoltà le regioni. Un’ulteriore soluzione potrebbe essere quella di rivedere il calcolo dell’Iva sui carburanti, che ad oggi viene applicata sul prezzo internazionale di base sommato a quello delle accise (in sostanza il 21% di tasse viene applicato su quelle che già sono entrate fiscali).

Soluzioni che forse avrebbero permesso di non esonerare arbitrariamente in questo modo lo Stato dal suo ruolo ed evitare che ogni singolo cittadino debba ricorrere ad un’assicurazione volontaria, che in realtà proprio del tutto volontaria non sarebbe. Il territorio italiano, non essendo uniforme dal punto di vista idrogeologico e ambientale, non consente un pagamento uniforme dell’assicurazione in tutta la penisola, perché coloro che risiedono nelle zone più a rischio saranno obbligati a pagare un’assicurazione più alta rispetto ai cittadini che risiedono in zone relativamente più sicure. Per ovviare a questo problema, la soluzione prospettata potrebbe essere quella di uniformare il pagamento assicurativo in tutto il territorio italiano, a prescindere dal livello di rischio. Da volontaria pertanto l’assicurazione sarebbe più corretto definirla obbligatoria.