Sono ormai molti i tentativi e gli esperimenti volti a superare lo spazio espositivo “standard” della galleria d’arte, per aprire le porte ad infinite soluzioni alternative che danno all’opera il valore aggiunto dell’esperienza unica e inattesa.

Pensando solamente a Roma nei mesi più recenti, l’associazione Sguardo Contemporaneo ha realizzato con Nuova Gestione – febbraio 2012 – un evento che ha portato il pubblico dell’arte contemporanea al quartiere popolare del Quadraro, dove sono stati riaperti vecchi spazi commerciali in disuso da diversi anni, per ospitare interventi di sei giovani artisti. Sempre al Quadraro è nato questo inverno GarageZero, un vecchio garage recuperato dal degrado e restituito al pubblico sotto forma di luogo culturale e di aggregazione sociale. In concomitanza con la fiera romana d’arte contemporanea, il Pigneto ha aperto una tre giorni di mostre, incontri ed eventi performativi itineranti per le vie del quartiere, con ingresso libero in alcuni dei numerosi studi d’artista presenti nella zona. Volendo ancora spaziare verso altre forme artistiche, il festival Teatri di Vetro, quest’anno alla sesta edizione, ha portato il teatro nei cortili interni dei grandi lotti edilizi del quartiere Garbatella.

L’importante è scardinare i vecchi meccanismi del sistema, e creare eventi che siano capaci di ridurre al massimo il filtro tra l’artista e il pubblico. Per far questo l’arte deve uscire fuori dagli spazi asettici e preordinati, e arrivare ad una dimensione più intima in cui lo spettatore si trovi a tu per tu con l’opera. L’esigenza non viene soltanto da un pubblico pigro che vuole arrivare all’arte con uno sforzo minore e in contesti informali, ma sono anche gli artisti stessi che hanno la possibilità di ritrovare un contatto diretto, sincero e trasparente coi propri fruitori.

In Germania, a Magonza, esiste dalla fine degli anni Novanta un’iniziativa singolare, che a cadenza biennale porta l’arte contemporanea all’interno delle abitazioni private di un quartiere, e il pubblico, munito di mappa, si prodiga alla ricerca di tutti i “tesori” distribuiti tra le varie case coinvolte. Non si paga nessun biglietto, ma si suona il campanello per entrare nell’ambiente privato per eccellenza, che si trasforma in luogo di incontro e scambio, dove oltre all’opera d’arte si può godere dell’ospitalità del padrone di casa, e magari di un tè o un bicchiere di vino a tavola con l’artista stesso.

L’esperimento quest’anno è stato portato per la prima volta a Roma il 12 e 13 maggio, nel quartiere Trastevere, con un progetto dal titolo “Casa con Vista” che ha coinvolto 15 artisti per 15 appartamenti, da un’idea di tre amiche (Edith Urban, Georgina Splengler, Daniela Monaci), e curato da Daniela Cotimbo. “Tale fenomeno entra a far parte di un più generale discorso sul ripensamento degli spazi espositivi e sul significato del site-specific” – spiega la curatrice – “portare l’arte in un appartamento privato vuol dire anche creare un rapporto paritario tra chi ne è artefice e colui che decide di varcare la soglia altrui per prender parte all’operazione”. Ma oltre all’artista, spettatore e padrone di casa, attori principali di questa nuova proposta espositiva, un ruolo fondamentale è svolto anche dall’ambiente e dagli spazi, all’interno dei quali l’opera d’arte si inserisce ed agisce, e sui quali ogni artista ha ristretto in misura diversa la propria ricerca.

In via delle Mantellate, ad esempio, l’attenzione protende inevitabilmente verso lo spazio che si ha di fronte, affacciandosi dalla terrazza verso il carcere Regina Coeli. Con due installazioni di impostazione estremamente diversa Mauro Vitturini e Francesco Impellizzeri hanno dato, nelle due case quasi contigue a loro assegnate, due diverse elaborazioni di quella breve distanza sorda e silenziosa che separa gli abitanti degli appartamenti e i carcerati. Diego Mirabella invece, all’altro capo della zona, ha ristretto la sua ricerca all’interno delle mura domestiche, invitando gli spettatori ad osservare le stanze totalmente buie della casa unicamente attraverso il suo occhio, con scatti fotografici illuminati da piccole pile che costringono l’osservatore ad avvicinarsi il più possibile all’opera e ad ignorare lo spazio circostante.

L’arredamento total white di Casa Schraffl ha invece ispirato ad Anita Calà un’installazione dal titolo “Bianco”, nella quale lo spazio viene invaso incontrollabilmente dal latte che fuoriesce dal seno prosperoso di un corpo femminile raffigurato su una stampa fotografica posta al centro della stanza.

Daniela Monaci ha giocato con uno spazio abitativo bianco e nero che si sviluppa in altezza attraverso una scala centrale. Dalle bianche colombe poste sul pavimento in basso intente a beccare candide perle, si sale fino all’ultimo livello dove le opere sono bidimensionali. Per Carolyn Angus lo spazio di riferimento è la città in cui vive e la vicinanza del Tevere alla casa che l’ha ospitata – Casa Gregoretti – tanto da spingerla a comporre un’opera con rami e oggetti effimeri raccolti dalle rive del fiume.

In alcuni casi lo spazio abitativo ha assorbito l’opera – Piero Mottola e Edith Urban – in una soluzione cromatica-decorativa oltre che artistica. In altri casi l’opera non cerca nessun collegamento col contesto – Daniela Perego e Heather Allen – ma prepotentemente si pone al centro dello spazio in un dialogo più immediato con gli spettatori.

Le soluzioni sono diverse e articolate, troppo da poter essere complessivamente inserite nello spazio limitato di un breve testo scritto. Importante sottolineare il successo dell’iniziativa e la grande affluenza di pubblico che, affidandosi al passaparola, ha affollato le abitazioni con grande curiosità, a dimostrazione che l’arte riesce ad arrivare anche attraverso canali del tutto extra-ordinari.