Cosa fanno un africano, un venezuelano, un tunisino e un italiano nella casa di Reclusione di Rebibbia? Cucinano! Muniti di utensili ricavati da barattoli e scatolette, con pentole in formato mini come vuole la cucina in cella, otto squadre di detenuti, definite in base alla nazionalità, si sono sfidate sabato scorso a colpi di ricette e ingredienti dei rispettivi paesi di origine. Il cibo diventa in occasioni come questa un fondamentale strumento di incontro e scambio tra generazioni e popoli diversi.
Ne è convinto anche Rirkrit Tiravanija, artista contemporaneo di origini orientali, che trasforma le gallerie d’arte in temporary kitchen, cucinando lui stesso piatti thailandesi da offrire al pubblico e innescando una rete di relazioni non convenzionali tra i partecipanti.
Nella società odierna, caratterizzata dalla compresenza di etnie, popoli e religioni differenti, diventa fondamentale trovare dei canali efficaci di comunicazione che stimolino l’incontro tra le culture, favorendo la tolleranza e il rispetto reciproco.
Oltre al cibo, si può prendere in considerazione il teatro, arte relazionale per eccellenza, che in alcuni casi ha affrontato queste problematiche non solo contenutisticamente ma anche operativamente. Un esempio è il progetto “Teatro degli Incontri”, fondato da Gigi Gherzi, drammaturgo, regista e attore milanese, con alcune associazione e cooperative lombarde, che si pone l’obiettivo di indagare il complesso rapporto tra i cittadini italiani e stranieri, con specifica attenzione al territorio della zona due di Milano. Le tematiche affrontate dai gruppi di partecipanti di ogni etnia sono legate all’incontro-scontro tra culture diverse, al meticciato umano ed artistico, alle difficoltà di relazionarsi con l’atro da sé. Gli incontri teatrali sono finalizzati alla realizzazione di opere originali poi confluenti in una manifestazione festaiola aperta a tutti, il “Festival del Teatro degli incontri” arrivato alla sua seconda edizione. Dal 4 al 17 giugno spettacoli teatrali, seminari, incontri, video autoprodotti dalla popolazione locale animeranno le strade e le piazze di una parte di Milano, portando la cittadinanza a riflettere attivamente sulle tematiche legate alla migrazione e all’integrazione sociale.
Dal teatro passiamo poi a “sporcarci” le mani a Palermo, con scalpelli e frullatori, partecipando a laboratori di cucina, sartoria e realizzazione di oggetti di design insieme agli immigrati del quartiere multietnico di Albergheria, che si terranno nell’ex falegnameria della città, luogo di formazione degli artigiani nel secondo dopoguerra. Questo progetto artistico, chiamato appunto La Falegnameria, è ideato da Riso (Museo d’arte contemporanea della Sicilia ) in collaborazione con il Centro Salesiano Santa Chiara di Palermo e l’associazione culturale CLAC- Centro laboratorio arti contemporanee, con l’intento di instaurare uno scambio culturale e produttivo che diventi strumento per superare le barriere legate all’ignoranza e gettare le basi per una cittadinanza attiva.
Dal profondo sud, arrampichiamoci lungo lo stivale fino ad Asti, dove è un altro il medium sotto i riflettori: il cinema. Parliamo di SLAFF-Social Lab Film Festival, organizzato da due associazioni locali operanti nell’ambito culturale e sociale, Arthesis e Noix de Kola. Si tratta di una rassegna cinematografica che propone film e corti sul tema della migrazione e dell’integrazione sociale, e che vede la partecipazione attiva degli stranieri chiamati ad esprimere pareri e commenti sui film. I testi cinematografici diventano così potenti strumenti di educazione sociale, di conoscenza di tradizioni, storie, e popoli che possono aiutare gli scambi culturali con il resto della popolazione.
I canali che facilitano e rendono possibile uno scambio tra culture diverse sono molteplici. Se si aggiunge l’aumento in Italia di eventi, manifestazioni e incontri che lo favoriscono, si possono intravedere all’orizzonte prospettive rosee di una miglior integrazione sociale tra i popoli. Melting pot made in Italy?