Il caldo si comincia a far sentire, anche in ufficio. Parte così il ricorso frenetico al refrigerio dei condizionatori d’aria, che se contribuiscono a rinfrescare l’aria della stanza, surriscaldano l’ambiente esterno, aggravando il consumo di energia elettrica e, conseguentemente, incrementando le emissioni di CO2.
Eppure, per frenare questa impennata di consumi, gli accorgimenti sono semplici: basterebbe convertirsi ad un abbigliamento più confortevole, in stoffe naturali, che lasci il corpo libero.
Il primo indumento che sicuramente deve cedere a questo dettame è sicuramente la cravatta, accessorio simbolo dell’eleganza maschile, che tuttavia non trova utilità alcuna, ma al contrario è stato spesso tacciato di essere scomodo, portatore di microbi e di procurare sudorazione eccessiva nella stagione del sol leone.

Nel luglio del 2007 l’allora ministro della Salute Livia Turco emanò persino una circolare con cui esonerava i dipendenti pubblici e privati dal mettere la cravatta, a causa del caldo eccessivo.
Quella di fare a meno della cravatta nei mesi estivi è una pratica che anche Eni adottò subito e che l’azienda ripropone ormai annualmente.
Anche per la stagione calda 2012 Eni si toglie la cravatta, poiché evitando questo accessorio e la giacca che sempre lo accompagna c’è un notevole contenimento di spreco energetico: nell’edizione 2011 sono state risparmiate 430.000 kwh di elettricità, con una riduzione del 9,5% dei consumi elettrici per il condizionamento. Ne è risultata una notevole limitazione nell’emissioni di CO2 pari a quella prodotta da circa 1.350 viaggi Roma-Milano andata e ritorno, equivalente a 40 viaggi di una nuova auto attorno al mondo.

 
Questa good practice è stata adottata anche nel Sol Levante già da qualche tempo: in Giappone è stata lanciata già nel 2005 la campagna “Cool Biz”, che gioca proprio sul significato della parola inglese ‘cool’, che significa sia ‘fresco’ che ‘alla moda’ ed invita i cittadini a vestire in modo casual; in Cina dal 2007 si da la possibilità agli impiegati in ufficio di indossare anche una semplice t-shirt, come avviene già dal lontano 1996 in Corea del Sud.
La questione si riapre sempre di questi periodi e molte aziende e amministrazioni sembrano volersi convertire a questo “cambio d’abito”, come il Comune di Torino o gli stabilimenti di Indesit, che hanno in parte sposato l’iniziativa lanciata da Eni istituendo i “casual friday” e limitando al venerdì le mise più informali.


Eppure questa resistenza al cambiamento è poco giustificabile: senza giacca e cravatta ci perderà forse lo stile e l’eleganza, ma di sicuro ci guadagnerà l’ambiente e il benessere di tutti, senza contare il non trascurabile risparmio economico che ne deriva.
In tempo di crisi sembra che tale vantaggio sia stato ben recepito anche all’ultimo G8 tenutosi a Camp David, in cui il premier Monti e il presidente Obama hanno fatto a meno di questo indumento.