Partire in pompa magna e finire commissariati dopo tre anni, fa gridare allo scandalo perfino in Italia. Ma, alla fine, non deve stupire più di tanto e potrebbe non essere il peggiore dei mali.
I fatti dicono che il Maxxi accoglie 450.000 visitatori l’anno e che è diventato un punto di riferimento nel sistema dell’arte contemporanea in Italia, con interessanti aperture all’estero.
E’ però vero che ha chiuso il bilancio 2011 con un disavanzo di 700.000 euro, simile a quello dell’anno precedente, e che si trovava a prevedere un ulteriore sbilancio di 11 milioni di euro per il triennio successivo. Cifre impressionanti dovute, come non manca mai di sottolineare il presidente uscente Pio Baldi, dal taglio dei contributi pubblici che è calato dai 7 milioni del 2010 ai 2 previsti per il 2012. “E’ il risultato di una lotta interna al Ministero dei Beni Culturali fra chi punta alla conservazione del patrimonio artistico storico italiano e chi punta sull’innovazione, sul contemporaneo”, ci dice Marina Celli, nota proprietaria della galleria Oredaria e persona ben informata dei fatti. Una lotta miope, perché i due obiettivi non sono affatto in contraddizione: se la conservazione del patrimonio è pensata anche per renderlo fruibile al pubblico, allora va ricordato che gli amanti dell’arte sono sempre più attenti al contemporaneo e che perfino i musei più tradizionali si sono da tempo aperti all’arte degli ultimi decenni.
Basti pensare alla mostra che la Pinacoteca di Brera ha dedicato a Burri e Fontana, oppure al boom di visitatori nelle città in cui vengono allestite mostre di Picasso o Dalì o Warhol. Ridimensionare il Maxxi significa colpire uno dei poli di esportazione dell’arte italiana di oggi, il cui relativo successo mondiale non è affatto dovuto alle politiche del Ministero. I vari Pistoletto, Burri, Fontana, Boetti sono noti all’estero soprattutto grazie alle case d’asta, che hanno organizzato importanti vendite delle loro opere a Londra. Ma le case d’asta, i galleristi, continuano a riproporre i soliti artisti sicuri, con poche novità, perché il loro obiettivo è vendere – non esportare cultura. A quello dovrebbero pensare il Ministero, gli enti pubblici, impegnati in ben altro (cosa?).
Se poi si aggiunge che la crisi del Maxxi non è isolata, e che altri musei simili italiani stanno passando momenti difficili, sembra che la tesi di Baldi sia più che solida. Ma non lo è del tutto. “Un’istituzione come il Maxxi deve predisporre un budget sostenibile nel lungo periodo, e agire di conseguenza. Non è stato così”, riprende Marina Celli. E’ evidente che il contenitore super-costoso dell’archistar Zaha Hadid (un investimento da oltre 180 milioni, con un costo a metro quadro almeno doppio rispetto al Museo Guggenheim di Bilbao), comporta costi di gestione importanti e indirizza l’attività verso eventi impegnativi finanziariamente. In questa condizione, si rischia che il grosso delle risorse a disposizione vada a finire nella gestione corrente. Lo si poteva capire già 3 anni fa, negli anni delle vacche grasse, quando dalle istituzioni pubbliche piovevano milioni, e quando già si sapeva che entro un paio di anni si sarebbero decisamente ridotti.
Bisognava muoversi allora, per tempo, e modellare una struttura dei costi più flessibile. Invece sono rimasti gli spiccioli per le mostre e per le attività, alcune di alto profilo come la personale di Pistoletto, altre meno. E anche su questo fronte si poteva lavorare di più per inserirsi in una rete internazionale di alto profilo, con cui allestire mostre importanti a costi più accessibili, con cui scambiare opere per mandare in giro nel mondo l’arte italiana e riceverne altre che meno conosciamo. Per entrare in una rete del genere c’era e c’è l’importante biglietto da visita costituito da Roma e dall’edificio della Hadid, ma ci vogliono anche idee, progetti interessanti.
La crisi annunciata è stata invece – se vogliamo lodevolmente – affrontata agendo sulla parte dei ricavi, cercando e trovando a più non posso risorse esterne. Bisognava e bisogna agire più a tutto tondo, con un forte segno di discontinuità. In questo senso, l’arrivo di Antonia Pasqua Recchia come Commissario del Maxxi potrebbe avere effetti non negativi anche se “il periodo previsto di 5 mesi è troppo breve”, sostiene la Celli. Ho collaborato in passato con Antonia Recchia e l’ho trovata insolitamente volitiva e operativa nel panorama del Ministero, di cui conosce ogni anfratto e ogni circolare. Può darsi che sappia trovare un modo per far uscire il Maxxi momentaneamente dalle secche; ma senza un progetto chiaro di lungo periodo, si andrà poco lontano.