“Innovare”, un imperativo diventato categorico nei programmi politici di molti paesi del mondo nel corso degli ultimissimi anni, nel tentativo di non perdere la sfida della contemporaneità e dello sviluppo tecnologico… “Innovazione”, un termine spesso abusato dal pubblico di massa, dai media e  quelle stesse classi socio – politiche che dovrebbero proporre dei programmi seri di crescita sostenibile. L’errore più comune è dato dal considerare l’innovazione come sinonimo di nuovo e originale. Nulla di più sbagliato… La storia ci insegna, in realtà, che per innovare non è necessario spremersi le meningi per produrre un prodotto o un servizio che prima non c’era o non era soddisfatto, o almeno non solo…

Prendiamo come esempio la Apple: oggi può essere considerata l’azienda informatica più potente al mondo, una delle pochissime a non aver risentito della crisi e ad aver aumentato il suo valore economico sul mercato, grazie soprattutto alle vendite record dei suoi gioielli di punta, iPhone e iPad. Due prodotti che sono entrati nelle case di milioni di utenti in Italia e in tutto il mondo e che, di sicuro, hanno modificato il nostro modo di vivere e di relazionarci con le altre persone. Merito del loro carattere innovativo, della novità che hanno rappresentato sul mercato quando sono usciti e anche, bisogna ammetterlo, delle originali campagne di marketing che l’azienda di Cupertino ha sviluppato nel corso degli ultimi anni: in fin dei conti, la migliore pubblicità non è data dai Keynotes o dagli spot televisivi, ma piuttosto da quelle notizie (costruite ad arte?) a mò di gossip che anticipano l’uscita di questi prodotti, come lo sbadato dipendente che lascia distrattamente il prototipo del nuovo iPhone in un ristorante oppure l’azienda succursale che mostra in Rete le componenti interne (ovviamente non le più sensibili) del nuovo iPad.

Ma se andiamo ad analizzare fino in fondo questi due prodotti, eliminando dalla nostra mente l’amore/odio che proviamo verso di essi, scopriremmo che, in realtà, la Apple non ha inventato nulla di nuovo… Consideriamo l’iPhone: il suo punto di forza, fin dal primo modello del 2007, è costituito dalla tecnologia touch-screen, che consente di fare davvero ogni cosa con il tocco delle dita, grazie alle app disponibili sullo store ufficiale. Una rivoluzione? In parte si, in parte no... La tecnologia touch screen, infatti, è ben più vecchia di quella data e i primi esperimenti risalgono addirittura agli anni ‘60. Incredibile ma vero, già nel 1983 questa tecnologia fece la sua comparsa sul mercato grazie alla HP, che sviluppò un pc (il modello HP-150) dotato di questo particolare sistema. Mentre spetta alla IBM il primato di aver lanciato il primo smartphone touchscreen della storia, Simon, un simpatico “citofono” uscito nel 1992 e dotato di una tecnologia “tattile” estremamente semplice.

I tempi forse non erano maturi per l’utilizzo di massa di questa tecnologia, ma i casi citati sono solo alcuni relativi a questa innovazione. Che dire allora dell’iPad? Spesso si tende a identificarlo come il primo tablet apparso sul mercato, ma, a un’analisi più approfondita, si può scoprire che, alla data di uscita del primo modello, il 2010, il mercato aveva già accolto questo tipo di prodotto, con multinazionali forti del calibro di HP, IBM, Asus, Microsoft, Nokia in prima linea. La stessa Apple aveva prodotto un modello di nome Newton che, pur essendo un PDA (Personal Data Assistant), riprendeva in pieno i canoni della moderna tecnologia dei tablet touch screen.

Quale merito va dato allora all’azienda di Cupertino? Semplicemente quello di aver saputo ridare valore a tecnologie già presenti sul mercato e snobbate dal pubblico di massa. Bastava impiantarci un sistema operativo user-friendly e sviluppare la tecnologia verso il multi-touch (queste sono le vere innovazioni “furbe” della mela col morso) per renderli più attraenti al pubblico. Poco importa se poi quei prodotti vengono pagati a caro prezzo dall’utente finale, perché i consumatori tendono, per loro natura, a soddisfare un bisogno (la famosa scala di Marlow, tanto cara a sociologi ed economisti), qualunque esso sia. E se in quel prodotto viene rintracciata un’utilità, il gioco è fatto e sul mercato si ingrana la quinta! Naturalmente è un discorso che vale per qualsiasi tipo di prodotto e di servizio.

Il caso della Apple è solo uno dei tanti che si può prendere in considerazione nel campo della tecnologia ed è, forse, la dimostrazione più lampante di come la cultura dell’innovazione e, con sè, quella dello sviluppo, possa partire da qualcosa che già esiste, che magari è sotto gli occhi di tutti, ma che nessuno riesce a notare perché manca quel quid capace di renderlo attraente e utile al consumatore. La parolina magica è “valore”… E se pensiamo all’innovazione in campo culturale? C’è tutto un mondo, anzi un universo, che si può spalancare di fronte ai nostri occhi: dai musei virtuali alle nuove frontiere dell’editoria cartacea e virtuale, dagli ebook al print-on-demand, dalla musica alla portata di tutti alle nuove forme del teatro underground. Come è stato messo in evidenza in modo impeccabile dal professor Trimarchi, il binomio web – cultura è ancora tutto da esplorare e le opportunità di creare valore con l’offerta culturale sono ancora moltissime e tutte a disposizione di audaci e potenziali giovani imprenditori.

La sfida è appena iniziata e l’Italia sembra essersi risvegliata dal torpore, considerando il pullulare di concorsi per idee innovative e creative, soprattutto nelle regioni meridionali: basti solo pensare all’ultima iniziativa, quella di ItaliaCamp, che promuoverà gli Stati Generali del Mezzogiorno d’Europa il prossimo 30 giugno con la selezione di 16 idee d’impresa innovative per ogni regione del sud in grado di rilanciare i territori meridionali e di creare occupazione. Le iniziative pervenute hanno sfondato quota 700, a dimostrazione della grande vivacità dei meridionali (alla faccia dei terroni) e della consapevolezza di non potere più aspettare di fronte a questa crisi cruenta. In poche parole, se il lavoro non c’è e si ha difficoltà a trovarlo, è necessario inventarselo da sè, anche partendo da zero, con pochi fondi a disposizione.

Il treno per l’innovazione è pronto a partire. Ma bisogna fare presto, il futuro è già domani!