La modernizzazione del sistema bancario di mercato ha condizionato parallelamente, e per un ventennio, la struttura legislativa delle Fondazioni di origine bancaria (Fob).
Le Fob nacquero negli anni ’90 sotto la legge Amato come enti conferenti chiamati a scorporare le agenzie bancarie per attribuirle ad apposita società per azioni. Così alle fondazioni stesse vennero trasferite tutte quelle attività non solite dell’impresa e ad esse venne fatta la promessa di passare dalla vigilanza ministeriale a quella di una specifica autorità indipendente sul terzo settore.

Che però risultò vana nel momento in cui le banche, figlie anch’esse della legge Amato, si son trovate nella seconda metà degli anni ’90 a trasformarsi da enti creditizi pubblici in società per azioni operanti nel settore del credito; le Casse di Risparmio e le Banche dei Monti di credito preferirono – col passare del tempo – adattarsi e migliorarsi seguendo le dritte della Legge Ciampi. Non si tirarono indietro neppure le Fondazioni dismettendo consistenti quote delle banche – che le fondazioni stesse controllavano – tenendo in mente durante le dismissioni la buona remunerazione del capitale disinvestito.

Così facendo potevano tutelare i propri patrimoni e godere della facoltà nuova di creare dei “campioni nazionali” in grado di competere su un mercato che diventava sempre più internazionale. Ecco il motivo per cui, ancora oggi, le fondazioni di origine bancaria restano azioniste delle banche. Ben presto però la prima natura pubblica sotto vigilanza per garantire il controllo delle banche scorporate e le successive impossibilità di smaltimenti di buona parte delle azioni con l’aggiunta di nuovi obblighi suscitarono una profonda crisi di identità.
Un po’ perché partì, prima da parte dei privati, poi degli operatori creditizi la ricerca di iniziative autonome, tanto che l’unico elemento che regolamentava la funzione di fondazione stava nella forma giuridica dell’essere conferente.
nsomma, nel ’99 grazie all’attribuzione di diritto privato sorsero nuove regole e condotte per privilegiarne la loro portante utilità sociale. Da quel momento in poi si iniziò a designare meglio il titolo conferito alle Fondazioni di origine bancaria tramite la legge Ciampi e in seguito vennero riconosciute dalla più alta magistratura italiana, la corte costituzionale (nel 2003) e la più alta magistratura europea, la corte di giustizia di Lussemburgo (nel 2006). Un incarico chiaro e soddisfacente in grado di circoscriverne definitivamente la natura privata senza scopro di lucro con intenti di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico.

Francamente, quanto resta di questo ventennio è l’aver generato la fondazione di origine bancaria intesa come ente no-profit e investitore istituzionale stabile delle banche. Un disegno assai vantaggioso per queste ultime per i modelli istituzionali pubblici, la natura giuridica d’impresa in un mercato competitivo e per l’identikit di soggetti autonomi con la vasta scelta di investimento ed erogazione che contraddistinguono le stesse fob.

Oggi però la rapida evoluzione della crisi costringe le autorità a mostrarsi flessibili sui criteri di regolamentazione e controllo dell’equilibrio stabile della finanziaria. L’ulteriore innalzamento del costo del finanziamento e l’irrigidimento delle fonti dalle quali attingere ha scatenato ulteriori tensioni capaci di colpire tutti quasi alla cieca. Insomma si preannuncia un futuro stressante per le banche e per gli azionisti.

Dietro questa criticità sorgono diversi spunti di riflessione e soluzioni alternative sulle quali poter fare affidamento. Se ne è discusso durante del XXII Congresso Nazionale delle Fondazioni di origine bancaria e delle Casse di Risparmio spa tenutosi a Palermo il 7 e l’8 giugno. In occasione delle due giornate di lavoro si è voluto inoltre festeggiare il centenario dalla nascita dell’Associazione Acri dando al tema scelto per la ricorrenza, il seguente titolo: “Acri 1912. Cent’anni di storia tra cultura e sviluppo”.

Il Presidente Guzzetti ha suddiviso le sue argomentazioni in 3 punti.

La prima fa riferimento alla natura delle Fondazioni di origine bancaria di cui abbiamo parlato, ma che trova un’identità espressa più compiutamente attraverso la Carta delle Fondazioni. Infatti l’idea di accelerare le virtù di una carta è diventata una necessità, un modo per iniziare a fare chiarezza su governance, autonomia della politica e trasparenza.

Cosa vogliono essere esattamente oggi le fondazioni di origine bancarie? E cosa gli viene reso? Ebbene, delle Fob se ne rispetta il rapporto con le banche di cui i corpi intermedi della società (le fondazioni) sono azioniste ma ad esse non si tocca il concetto di organizzazioni delle libertà sociali, né responsabilità personale, né i criteri di gestione dei patrimoni propri, tantomeno le attività connesse all’erogazione. Piuttosto, un minimo di cambiamento dovrebbe riguardare la loro specialità giuridica. Essa non porterebbe a modificare la disciplina che norma le fondazioni, bensì a riformare quanto è stato tanto auspicato, ovvero la volontà di inserirle pienamente nel corpo unico degli enti non lucrativi per la qualità di persone giuridiche private che le caratterizza.

Tutto sommato però il segnale è vantaggioso a dispetto di altri investitori istituzionali che non godono di simili libertà. Libertà ovviamente vincolate dalla trasparenza nel bilancio terminale e dalla vigilanza imposta da un sistema pubblico. E proprio questi due aspetti, la vigilanza e la trasparenza, lasciano un po’ perplessi. Sussistono realmente oppure no?

La vigilanza ministeriale assegnata in via transitoria ha, da un lato, un potere simile a quello esercitato dalla Banca d’Italia nei confronti degli operatori bancari, dall’altro lato è più simile a quella di coloro che operano per le persone giuridiche. Dunque, l’autonomia per ambito da stabilire per una Fob è rapportata al perimetro della vigilanza pubblica imposta (fermo restando dietro a quanto era stato promesso). Ad ogni modo la stessa vigilanza mette a bada tutte le relazioni che spaziano da quelle derivanti dalla gestione delle banche per lo più durature nel tempo e quelle rivolte verso clienti e il territorio. Tutto questo non a caso gioca positivamente sulla stabilità del complessivo sistema.

La trasparenza fa anch’essa la sua parte, ed è indispensabile assieme alla vigilanza anche per evitare che qualcuno già radicato in politica possa entrare nella sfera istituzionale e di conseguenza trovare appetibile un tesoretto, quello del patrimonio delle Fondazioni di origine bancaria. Come se non bastasse, con una maggiore trasparenza eviteremmo di trovarci di fronte a molteplici disagi da andare poi a giustificare. Per esempio, sarà anche vero che alcune delle fondazioni italiane godono di 211 amministratori mentre quelle statunitensi ne hanno 11, ma è anche vero come dice Guzzetti che quelle americane non sono veicolate da un organo di indirizzo che la legge nel nostro Paese ci impone. Inoltre le nostre fondazioni di origine bancaria, spiega l’Acri, operano in più settori: cultura, sociale, giovani etc… pur avendo meno esperti di gestione del patrimonio.

Sempre restando sul tema, c’è qualcuno che si domanda se le Fob paghino l’Imu oppure no. Ebbene, le Fob pagano l’Imu ad eccezione di quelle in possesso di edifici destinati unicamente ad attività sociali e culturali.

Oggi il compito delle Fondazioni di origine bancaria è anche quello di rivendicare quanto lo stato e il mercato restringendosi non riescono a rendere al privato sociale. C’è chi infine ammette che il problema non è tanto la mancanza di soldi che ne ostruisce il rilancio del welfare comunitario, né tantomeno il già citato controllo delle banche, quanto la mancanza di fare sistema.

Il fare sistema, di cui si è sempre parlato giorni fa anche a Palermo, ha un qualcosa di nuovo, poiché forse uscirebbe dagli interessi strettamente territoriali alle quali le fondazioni di origine bancaria erano abituate ricoprendo ciascuna il proprio comune, la propria regione di appartenenza. Questo perché quando si parla di costruire reti si cerca ultimamente di coinvolgere i simili. Pertanto l’invito sarebbe rivolto alle stesse fondazioni di origine bancaria con lo spirito di maturare progetti condivisibili proprio come si sta facendo a favore delle aree colpite dal terremoto dell’Emilia Romagna. In secondo luogo la parola cooperazione punterebbe su un’identità pubblico-privata. Un esempio fra tutti è il caso Housing Sociale con la Fondazione per il Sud attiva per un progetto denominato “Fondazione Italiana per l’Educazione Finanziaria”. Un esperimento innovativo per confermare la cultura della sussidiarietà, quella del pluralismo e della democrazia ben rappresentato dalle Fob. Anche l’idea di operare catalizzando le rispettive Fondazioni con Abi, Ania e Federcasse per rendere alloggi convenienti in quelle località dove non ci sono fondi locali da destinare a problematiche sociali che esprimono pienamente un compito aggiuntivo e non sostitutivo delle competenze statali.