Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
Partita IVA 03068171200 | Codice Fiscale/Numero iscrizione registro imprese di Roma 03068171200
CCIAA R.E.A. RM - 1367791 | Capitale sociale: €10.000 i.v.
Ingredienti:
Per il ripieno
200 g di ricotta di bufala
150 g di yogurt bianco
200 g di panna semimontata
170 g di zucchero semolato
3 uova codice 0
1 limone non trattato
Per la pasta frolla
100 g di farina gialla fioretto
200 g di farina 00
150 g di burro ammorbidito
150 g di zucchero di canna
scorza grattugiata di 1 limone
1 uovo codice 0
1 cucchiaino di estratto di vaniglia (facoltativo)
1 pizzico di sale
Per decorare
12 fichi
mandorle a lamelle
zucchero a velo
3 cucchiai di zucchero di canna
Preparazione:
Lavorate brevemente gli ingredienti della pasta frolla e amalgamate l’impasto fino a formare una palla. Stendetela tra due fogli di carta da forno e mettete a riposare in frigorifero il tempo necessario a preparare il ripieno.
In una terrina mescolate la ricotta, lo yogurt, la panna semi-montata e lo zucchero fino a ottenere un composto liscio ed omogeneo. Inserite le uova una alla volta e mescolate accuratamente. Aggiungete la scorza grattata di un limone non trattato.
Stendete la pasta frolla ad uno spessore di 5 mm (deve essere abbastanza sottile da permettere una cottura omogenea). Ricoprite il fondo e i bordi di una tortiera di 28 cm, imburrata e infarinata. Bucherellate la pasta frolla e versate il composto di ricotta al suo interno.
Infornate a un’altezza medio – bassa a 170° per 45 minuti, coprite con un foglio di alluminio e proseguite la cottura per altri 15 minuti.
Nel frattempo tagliate i fichi in quattro e lasciate marinare con 3 cucchiai di zucchero si canna. Disponeteli in cerchi concentrici sulla torta facendo affondare la punta nella crema, e proseguite la cottura per altri 15 minuti circa. Sfornate la crostata, spolverizzatela con zucchero a velo e servite tiepida o fredda.
Conservate in frigorifero.
Da abbinare con…
Chi non ha mai sentito l’esclamazione “Mica pizza e fichi!”
Un modo di dire che esalta il valore di qualcosa rispetto alla semplicità di questo cibo povero, di memoria contadina, che per me, invece, è pregno di ricordi ed è associato alla merenda che da bambina in assoluto amavo più di tutte. Porta con sé il ricordo delle estati in campagna, dove arrampicati sulle scale e direttamente dall’albero, facevamo incetta, noi bambini, di questo frutto delizioso, accompagnandolo con la pizza calda del fornaio del paese. Una sorta di remind istintuale innescato dalle “mie” madeleins proustiane, che evocano involontariamente un ricordo alogico, incentrato sul cuore e sull’emozione.
Nell’evoluzione di questo ricordo e di pari passo con la mia passione adulta per i dolci, ho sposato felicemente i fichi con la pasta frolla, il mio cavallo di battaglia, per cui solo questa sarebbe potuta assurgere agli onori e sostituire con dignità la pizza fumante di allora, senza peraltro sfigurare.
Questo dolce, anch’esso di ‘fattura’ contadina per la presenza insolita del formaggio, mi piace abbinarlo per assonanza al film “Un’ottima annata” di Ridley Scott con Russell Crowe. Qui, per un meccanismo circolare dei ricordi dell’infanzia, il cinico e ricco uomo d’affari Max, ritorna in contatto con il suo Sé migliore, legato alla fanciullezza trascorsa nella campagna in Provenza, con lo zio saggio e amante della vita. Il “Fanciullino pascoliano” fa capolino con le sue “lagrime e tripudi” e fa sì che Max torni in contatto con la sua parte sensibile ed emotiva nel relazionarsi con il mondo esterno. Cosicché tornando nei luoghi del “suo fanciullino”, Max si re-innamorerà di una bellissima Marion Cotillard, conosciuta quando erano bambini, e darà un impulso definitivo alla sua vita: scegliendo la campagna e l’amore, producendo vino nelle sue terre come avrebbe voluto suo zio Henry.
Nel film è ben visibile un quadro che tra tanti rievoca in me tutte queste emozioni insieme: è il quadro di Van Gogh “Strada con cipressi e cielo stellato”, nel quale il pittore rappresenta una congiunzione dei pianeti Mercurio e Venere, avvenuta una notte del 1820, stagliati sul fondo dei cipressi. La campagna, ancora, e la natura sono qui per me rappresentative di uno stato di grazia legato alle emozioni della fanciullezza.
Quindi poter idealmente passeggiare per quei sentieri ascoltando una qualsiasi delle musiche dei Sigur Ròs, i quattro folletti islandesi, che aprono il cuore alle emozioni e ai pensieri in modo inconsapevole e direi quasi terapeutico, sarebbe per me l’assioma perfetto di un momento perfetto. Quello ‘stato di flow’ che si attribuisce agli atleti o a chi fa attività immerso nella natura, in cui il flusso delle emozioni sgorga armonicamente con il resto che li circonda. Quando i loro brani non sono strumentali, cantano in islandese o in Hopelandic, una lingua inventata, che ancor più aggiunge magia, se possibile, all’uso quasi celestiale che fanno degli strumenti: uno su tutti vorrei citare il capolavoro Agaetis Byrjun.
Per chiudere questo cerchio magico la città che sento mia per elezione, va da sé, è Reykjavik, come espressione di una ‘natura quasi soprannaturale’, dove le aurore boreali e i paesaggi, che sembrano provenire da antiche favole nordiche, mi conducono per mano in un viaggio sensoriale ed emotivo pari solo alla Musica.
“È come se le note musicali creassero una specie di parentesi temporale, una sospensione, un altrove in questo luogo… un sempre nel mai. Si, proprio così, un sempre nel mai”.
Da “L’eleganza del Riccio” di Muriel Barbery.