Durante l’estate bolognese la protagonista assoluta sarà la creatività di alcuni degli street artist più famosi al mondo. È partito il 19 giugno e terminerà il prossimo 5 agosto il progetto Frontier- la linea dello stile, che prevede la realizzazione di diversi cantieri urbani in giro per le strade della città, all’interno dei quali artisti e writers disegneranno le mura di alcuni edifici popolari. Un modo per riqualificare i numerosi muti grigi e spogli delle strutture cittadine, trasformate in vere e proprie tele per le opere dei disegnatori. Nel mezzo dell’esecuzione dei lavori, la redazione di Tafter ha rintracciato ad intervistato Fabiola Naldi, curatrice e responsabile del progetto.

Frontier rappresenta un modo innovativo per migliorare alcuni aspetti del contesto urbano. Quando e in che modo è nata l’idea del progetto?

Il progetto è il risultato della lunga storia di Bologna nell’ambito delle discipline della street art e del writing, dal 1977 ad oggi. Questa infatti è stata la prima città italiana a comprendere l’impatto generazionale culturale e la forza del writing su tutta la scena artistica. Il titolo del progetto, che in realtà è un’autentica mostra di strada in quanto contesto naturale dove si sono sviluppate queste discipline, prende spunto da una mostra che si è tenuta ne 1984 presso la Galleria civica d’arte moderna  (l’attuale Mambo) dedicata alla curatrice Francesca Alinovi. È proprio su questa base storica che parte l’idea del progetto: tredici artisti internazionali, ognuno con le proprie caratteristiche e diversità stilistiche, realizzeranno le proprie opere su tredici facciate selezionate di edifici popolari, tutti risalenti agli anni’ 30 e tutti a ridosso delle cinta murarie della città, dove la periferia confluisce nel centro.

Contestualizzare la street art e servirsene per valorizzare la città ha trasformato il concetto di questa tecnica. Possiamo affermare che questa arte ormai rientra appieno nelle forme stilistiche legittime e non più sovversive?

Premesso che gli artisti non hanno bisogno di legittimazione, dal momento che questa l’hanno ottenuta attraverso le grandi opere che hanno realizzato, l’utilità dei curatori consiste nel rivestire il ruolo da intermediari per superare il fraintendimento di fondo nei confronti delle discipline. Quella che per molti è stata definita una sottocultura, in realtà è una cultura vera e propria, molto democratica e libera con un suo substrato illegale. La crescita naturale degli interventi artistici deve continuare pertanto ad essere determinato dalla strada e dal dialogo tra gli artisti: un percorso che va in parallelo rispetto a quello istituzionalizzato dai curatori. Nei cantieri cerchiamo di spiegare ai passanti cosa si sta realizzando perché il dovere del critico è aiutare il pubblico alla comprensione delle due discipline. La zona inoltre non è stata scelta a caso: pensare di intervenire su determinate facciate che non sono mai state ristrutturate non è una semplice operazione di arredo urbano, ma porta un plus valore alle facciate e ai supporti che ospitano le opere.

Quali sono state le azioni di supporto da parte degli enti locali?

L’Assessorato alla cultura ci ha finanziato con 20 mila euro. Si tratta di soldi del bilancio comunale destinati a progetti culturali. Il restante invece è stato stanziato da sponsor privati.

Il progetto si concluderà il 13 gennaio prossimo con un convegno presso il Mambo- Museo d’arte contemporanea di Bologna. Ci può anticipare qualcosa sulle modalità dell’evoluzione del progetto e se nel futuro questo esperimento sarà ripetuto anche in altre città italiane?

I cantieri chiuderanno il prossimo 5 agosto, mentre il progetto nel suo insieme si concluderà con il convegno ospitato dal Mambo: questa sarà la sede in cui ragioneremo e ci confronteremo con un pubblico variegato, dal momento che l’evento sarà aperto a tutti e culminerà con una pubblicazione di un libro in italiano e in inglese, che mira a fornire della letteratura in più riguardo questa disciplina. In genere infatti i cataloghi sono ricchi di apparati iconografici ma carenti di sezioni scritte esplicative.
In Italia progetti simili a Frontier sono già in essere in altre città, come Torino, Modena e Grottaglie, sebbene in questi casi manchi la presenza di un curatore. È auspicabile che queste città portino avanti queste iniziative, lavorando con delle basi scientifiche e creando connessioni tra di loro. Non si tratta di stabilire un unico coordinamento esterno, perché le discipline non possono essere controllate, bensì creare rete il più possibile e mantenere il confronto e il dialogo costante.