Il 13 luglio parte “Santarcangelo 12 – Festival internazionale del teatro in piazza”, una rassegna longeva che giunge quest’anno alla sua quarantaduesima edizione, con una direzione artistica triumvira e triennale e novità promettenti. Abbiamo sbirciato nel dietro le quinte del Festival di Santarcangelo insieme a due guide d’eccezione: Silvia Bottiroli, una dei tre direttori artistici e Roberto Naccari, presidente della manifestazione.

Il Festival di Santarcangelo è un evento importante che permea in modo radicale il centro storico. Quale il leit motiv di questa 42 esima edizione che si presenta come la prima di un triennio? Quale la filosofia centrale che l’animerà?
S. B.
Siamo in dialogo con una storia ed una tradizione complessa del festival, che ha tracciato il legame tra città e teatro, elemento caratterizzante di questa rassegna, e poi la memoria del triennio appena trascorso che ha visto succedersi tre compagnie romagnole diverse, molto importanti a livello nazionale, dal Raffaello Sanzio, ai Motus fino al Teatro delle Albe, affiancato da un gruppo di lavoro di cui facevo parte io, Cristina Ventrucci e Rodolfo Sacchettini che sono oggi i condirettori di questo triennio che inizia con l’edizione 2012.
C’è una sintonia con tale storia; ne è una prova anche la scelta di aver ripreso e messo al centro della produzione tre aspetti fondamentali, già presenti nel nome della rassegna: festival internazionale del teatro in piazza.
Il triennio che va ad inaugurarsi si porrà appunto l’obiettivo della multiculturalità, intesa non meramente come una vetrina di produzione di teatro in piazza internazionale, ma come una costruzione di relazioni più articolate ed approfondite tra artisti, come dimostra il ritorno di Richard Maxwell, presente qui nel 2009, e anche relazione più forti con strutture e festival, con una progettualità pluriennale, così come si tenta di fare ad esempio con Helsinki e Londra.
L’altra domanda radicale che caratterizza questa edizione è il tentativo di riconiugare al presente il concetto di teatro di piazza, che nasceva nei primi anni ’70 come teatro politico, e che sembra però un circuito tuttora interessante, sebbene declinato in altri modi.
Quest’anno programmiamo sia teatro che cinema in Piazza Grande, la piazza principale di questa cittadina, rinominata così dall’invenzione poetica di Tonino Guerra, che qui è nato ed è morto pochi mesi fa, invitando alcuni artisti nella ricerca teatrale a misurarsi con lo spazio, portandoci produzioni teatrali o creazioni originali.

Per un festival di così lunga durata, come quello di Santarcangelo, che tipo di considerazione c’è delle passate edizioni? Come si affronta il futuro?
S. B.
C’è l’intenzione di riprendere molto sul serio l’identità e la storia di questo festival, misurandosi con un vero e proprio corpo a corpo. La nostra direzione artistica è nuova, anche generazionalmente rispetto a quella che ci ha preceduto, quindi inevitabilmente abbiamo uno sguardo diverso, anche in considerazione di una storia del festival alla cui direzione si sono susseguiti artisti e non critici e figure curatoriali come me, Cristina Ventrucci e Rodolfo Sacchettini. In questo triennio c’è un gruppo di lavoro che vede noi tre, la direttrice organizzativa, che è Sonia Bettucci, in un’idea di festival come creazione partecipata e collettiva: lo affermiamo anche nello scegliere di lavorare a tre alla direzione artistica, che non è certo una cosa usuale.

Il festival è considerato un evento nell’evento, nel senso che è l’appuntamento culminante di una programmazione stagionale (da febbraio a giugno) chiamata “Anno Solare”. Quanto è funzionale questa rassegna al festival vero e proprio? Come si legano i due momenti?
S. B.
Ci stiamo riflettendo noi per primi, perché questo è stato un anno sperimentale. Il prossimo Anno Solare comincerà infatti già dalla fine di novembre, per creare un arco di lavoro continuo durante l’anno, di cui il festival sarà il punto di accensione, di intensificazione estrema, di un percorso che ha già delle tracce molto più diluite durante l’anno.
Anno Solare è una delle novità intesa non come una attività complementare o propedeutica al festival, tanto che abbiamo scartato una programmazione di spettacoli e abbiamo scelto un lavoro con artisti, di fasi intermedie aperte al pubblico locale, in cui sono previsti incontri con gli artisti, e una stagione itinerante che, attraverso un ribaltamento, invita gli spettatori a vedere spettacoli in altri teatri della regione.
L’ossigeno che Anno Solare porterà al festival è quello di aver moltiplicato le occasioni di lavoro, di offrire il sostegno a spettacoli che alcune volte vengono riproposti anche durante il festival, oltre a consentirci di seguire il percorso di compagnie che non sono il linea con le direttive curatoriali di quest’anno, ma che comunque riteniamo interessanti; e poi c’è un grande lavoro sullo spettatore, per un festival della ricerca teatrale che ha sede in una città piccola, ma in un territorio dove forte è la cultura teatrale, grazie alla presenza di cittadini, degli spettatori, ma anche di artisti, critici ed operatori.

Il Festival di Santarcangelo è il più longevo festival teatrale nel nostro Paese. Come riesce a rinnovarsi? In che modo riesce a stare al passo con i tempi? Quali gli aspetti su cui punta?
S. B.
Il rinnovamento ritengo sia dovuto al cambio frequente di direzioni artistiche, non usuale negli altri festival italiani. Sono stati invitati sguardi diversi a dirigere il festival e questo elemento garantisce la possibilità di mettere in discussione radicalmente il senso di un festival teatrale.
Altro elemento importante è nel fatto di esser una manifestazione fortemente locale, ma anche molto internazionale, per un risultato molto ricco e promettente: da un lato un grandissimo rapporto con la località e i suoi spazi, che continuiamo a scoprire ed utilizzare per un anno, per poi scoprirne degli altri, con un profondo rapporto con gli abitanti, e un allargamento di relazioni internazionali significative, che vogliono dire portare a Santarcangelo un pubblico non solo italiano, ma anche condurre a coproduzioni e attività che proprio qui magari debuttano.

Il Festival giunge quest’anno alla sua 42 esima edizione, con un’offerta che sembra non subire la crisi subita da molte altre rassegne. Qual è il segreto?
R. N.
Il Festival viene da tre buone annate che lo hanno risollevato artisticamente ed economicamente, dopo che, nel 2008, c’è stato l’abbandono di Olivier Bouin, l’ex direttore artistico, a tre mesi dalla partenza della rassegna, con la sorpresa di un buco di 200 mila euro.
Diciamo che Santarcangelo si è dunque ristrutturato con grosso sforzo e impegno negli ultimi tre anni, necessari per riuscire a colmare questo disavanzo, grazie alla partecipazione delle compagnie e degli enti locali che continuano a sostenerci.
Importanti anche le direzioni artistiche che hanno lavorato nel chiamare ad uno sforzo comune le compagnie ospiti del festival oltre a quelle che si sono avvicendate alla direzione dell’evento (la Raffaello Sanzio, i Motus ecc.) e che quest’anno partecipano da esterne.
La gran parte di alcune delle più importanti realtà che si sentono vicine al festival, devono ad esso la loro crescita nel panorama del teatro di ricerca italiana e contemporanea. Non è un caso che queste abbiano sede in un triangolo che sta tra Cesena, Rimini e Ravenna, al cui centro, guarda caso, c’è proprio Santarcangelo.
Oggi abbiamo intrapreso un nuovo percorso grazie ad una diversa direzione artistica con Silvia Bottiroli ed altri condirettori che, in realtà, partono da un’esperienza dell’ultimo triennio, considerato che c’è una congiunzione sul lato critico-amministrativo con le precedenti edizioni.
A sostenerci c’è inoltre tutto un sistema di persone, provenienti da tutta Italia che, in forma di stage, e volontariato, ci danno un grosso aiuto, altrimenti non potremmo permetterci di mantenere una struttura così vasta.

L’evento è certamente un importante attrattore per la città di Santarcangelo. In che modo viene accolta questa rassegna dagli abitanti e dall’amministrazione? Che tipo di sinergie si vengono a creare?
R. N.
A partire da quest’anno stiamo cercando di rafforzare il lavoro sul territorio. E’ il primo anno che il festival è preceduto da una stagione che ha preso il nome di Anno Solare e che per cinque mesi si è articolata in attività, laboratori, residenze per artisti, appuntamenti itineranti che facciamo portando il pubblico a vedere gli spettacoli per tutta la regione, con incontri di ospiti importanti che ci parlano della loro esperienza legata allo spettacolo.
Stiamo cercando di coltivare una comunità di pubblico e di spettatori, oltre che creare una serie di relazioni capaci di supportare il festival.
Ci sono quest’anno tutta una serie di iniziative che coinvolgono cittadini del territorio a partire da Virgilio Sieni e ad altri artisti importanti chiamati a Santarcangelo per coinvolgere il pubblico locale, oltre a creare un rapporto più vasto con la comunità teatrale nazionale.
Mi capita così spesso di ritrovare in spettacoli in giro per l’Italia persone che hanno collaborato con il festival, magari anche quindici anni fa: il festival è anche una sorta di passaggio nelle biografia di coloro che oggi sostengono il sistema teatrale italiano.

Giunti a questa età matura del festival, quale sarà il suo futuro? Sopravviverà questo teatro di piazza? Come lo vede tra diversi anni?
R. N.
E’ un proiezione difficile da fare perché da una parte è lo stesso problema che ci siamo posti quest’anno nel tentativo di riprogettare o comunque di introdurre elementi di novità in una rassegna che si è già reinventato diverse volte in quarantadue anni.
Una cosa di cui mi sono convinto, visto che anch’io sono tornato nelle vesti di presidente dopo aver ricoperto il ruolo di direttore organizzativo, dal 1995 al 2004, è che il festivalsia in grado di sopravvivere a molti scossoni: ormai ha una sua identità forte, un forte radicamento sul territorio; ho visto nascere e morire parecchie manifestazioni, ma il festival di Santarcangelo dimostra ancora una sua necessità.
D’altra parte non ho la velleità di immaginare come potrà essere il festival tra dieci anni, spero che potrà prendere strade che nemmeno riesco ad immaginare.
Nel futuro immediato, quello che ci si prospetta con questa direzione artistica triennale e con il mio mandato quinquennale, è l’impegno di far crescere il festival ulteriormente.
L’evento non si esaurisce nei dieci giorni, ma ha un andamento forte anche durante l’anno, in cui i progetti nascono in relazione con una comunità di spettatori con cui coltiviamo una forte relazione, insieme a quella con il territorio che lo ospita, con le altre manifestazioni e le istituzioni locali.
Siamo un evento importante, che fa parte di un’offerta culturale ricca e forte proposta dall’Emilia Romagna.

 

Foto di Claire Pasquier