È stato presentato un paio di mesi fa lo studio sul valore economico del Terzo settore nel nostro paese, realizzato da Unicredit Foundation ed Istituto di ricerca Ipsos. A distanza di qualche settimana dunque è tempo di bilanci e considerazioni. Il rapporto dettagliato fotografa quell’ambito di associazioni ed organismi no profit, che fanno parte di quel comparto conosciuto, sin dagli anni settanta, con la definizione di Terzo settore, perché rappresentativo di tutte quelle realtà che non avevano nulla a che spartire con il sistema governativo né con il sistema mercato concentrato sul profitto. Nello specifico i risultati della ricerca fanno emergere una situazione in continua e rapida evoluzione: secondo l’Istat sono 235 mila le organizzazioni no profit operanti nel nostro paese, che danno lavoro a 488 mila persone e ne coinvolgono in veste di volontari altre 4 milioni. Il fatturato dell’intero settore raggiunge i 67 miliardi di euro l’anno, pari al 4,3% del Pil (un dato in netta crescita rispetto al 2001 quando il giro d’affari si attestava intorno ai 38 miliardi di euro pari ad un 3,3% del Pil). Si tratta di un aumento del 78% del fatturato in dieci anni.

Un settore in crescita quindi quello del no profit, la cui evoluzione però comprende anche il concetto stesso di identità di Terzo settore: negli ultimi anni si è assistito, infatti, ad una vera e propria trasformazione dell’idea stessa di benessere, non più associata alla semplice ricchezza individuale ma identificabile come un insieme di valori più ampio, a prescindere dal possesso di beni materiali e immateriali.

 

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