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Quante volte vi sarà capitato di vedere, all’entrata in città, un segnale stradale con nome del luogo, bandiere, corredato dalla citazione di altre città italiane o estere? Come avrete notato, i luoghi riportati corrispondono all’elenco delle città gemellate con una determinata location che con essa hanno dei rapporti più o meno forti volti alla cooperazione nazionale e internazionale. Ma facciamo un passo indietro: cosa sono i gemellaggi?
Ideati nel 1950, i cosiddetti town twinning rappresentano “la stipulazione ufficiale di un’unione fra due o più comunità, allo scopo di collaborare in diversi settori – quali politico, economico, commerciale, sociale, educativo, culturale – e di stabilire rapporti duraturi nel tempo”. Per richiedere il gemellaggio con una determinata città, il Comune deve fare richiesta ufficiale in Commissione europea e richiedere quindi il finanziamento tramite il programma “Europa per i Cittadini” (ora in atto quello 2007-2013) presentando nel contempo un progetto di cooperazione che espliciti gli obiettivi del gemellaggio motivandone la scelta e la ricaduta che avrà sui cittadini, in termini di arricchimento turistico e culturale sì, ma spesso anche di impoverimento economico.
Non sempre, infatti, l’UE è disposta a stanziare dei fondi per dei gemellaggi: se fino a cinque anni fa – ci spiegano all’AICCRE – circa il 50% delle domande di gemellaggio veniva effettivamente finanziato, ad oggi meno del 25% dei Comuni che ne fanno richiesta riesce a ricevere il finanziamento europeo. E se l’Europa non batte cassa, le strade da intraprendere rimangono due: rinunciare al gemellaggio oppure auto-sostenersi grazie all’impegno di sponsor privati o dei singoli (spesso ignari) cittadini.
Quest’ultima via, se vogliamo la più difficile da perseguire, spiegherebbe anche il perché le richieste di gemellaggio si fanno sempre meno frequenti o comunque, si indirizzano verso paesi con un costo della vita basso e con una vicinanza geografica tale da permettere di risparmiare sui costi di viaggio.
Il Paese con cui più città italiane instaurano gemellaggi è, non a caso, la Francia, che ne ha attivi circa 920: questo è il risultato di una cultura abbastanza simile ma anche di una vicinanza fisica non trascurabile, soprattutto per alcuni Comuni settentrionali, che permette un notevole risparmio in occasione di viaggi ed incontri ufficiali. Negli ultimi anni, inoltre, le istituzioni promuovono sempre più la cooperazione con paesi dell’Europa dell’Est, nuovi membri dell’UE con un costo della vita meno caro e con una cultura dell’ospitalità più spiccata.
Di fatto, l’ultimo gemellaggio stipulato (giugno 2012) riguarda Apiro, cittadina delle Marche in provincia di Macerata e Primosten, città croata nelle vicinanze di Spalato unite dalla volontà di realizzare scambi economico-politici e turistico-culturali.
E se i Comuni, una volta attivato il gemellaggio, investono realmente le proprie risorse in iniziative culturali e scambi tra i cittadini, nessuno può dirlo in quanto nessuno è effettivamente obbligato a redigere un documento di rendicontazione. Anche il premio “Stelle d’oro dei gemellaggi”, istituito nel 1993 che riconosceva le migliori alleanze tra città gemellate, è stato quest’anno cancellato, senza che nessuno ne conosca la reale motivazione.
Restano quindi i buoni propositi del gemellaggio quando coadiuvati da un’amministrazione sana che renda realmente partecipe la popolazione delle attività organizzate nell’ambito degli scambi europei, ma sempre più spesso si assiste anche alla sospensione di partenariati nati senza precise direttive o senza aver prima quantificato la concreta sostenibilità economica dell’operazione da parte dei Comuni interessati.
In questo quadro non rassicura inoltre, la dismissione dell’AICCRE (Associazione Italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa), l’associazione italiana preposta al sostegno degli enti locali nella ricerca di partner e nella diffusione delle informazioni riguardanti le procedure di avviamento delle pratiche burocratiche. Con quindici lavoratori in cassa integrazione, infatti, l’associazione sta rischiando la chiusura in buona parte perché, nonostante sia stato dimezzato lo stipendio dei dipendenti, non riesce a diminuire il costo della dirigenza (150 mila euro annui più 80 mila euro di rimborsi e oneri).
Credevate che dietro quell’innocente cartello con tante bandierine di paesi diversi potessero nascondervi problematiche legate, anche in questo caso, alla crisi economica, alle più o meno lungimiranti amministrazioni comunali e all’onestà dei vertici societari privati? #sapevatelo.