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Le sue prime due edizioni alla testa del Festival internazionale del film di Locarno sono state un successo. Ma mai lasciarsi andare. Per il suo terzo anno alla direzione della manifestazione ticinese, il francese Olivier Père ha ideato un programma ambizioso con “un corroborante mix” di esperimenti cinematografici e di film più classici, in cui si mescolano dramma e commedia.
Quest’anno, il regista Apichatpong Weerasethakul presiederà la giuria di Locarno. Quali sono secondo lei le qualità fondamentali che un giurato deve saper dimostrare?
Riuscire nella composizione di una giuria è molto importante. Bisogna ovviamente trovare grandi artisti o comunque gente nota, apprezzata dal pubblico e che abbia una fama internazionale. Ma questo non basta. Bisogna innanzitutto che siano cinefili, che amino il cinema. Molti artisti – e non farò nomi – non sempre sono appassionati di cinema. Tantomeno del cinema degli altri.
Con quale genere di film si confronteranno gli spettatori del festival e i giurati?
Quest’anno, il mix di generi è ancora più evidente, con una forte presenza del documentario e anche di quello che chiamerei l’esperimento cinematografico. Ovvero film che esplorano i confini tra finzione e documentario, forme di narrazione classica e forme più originali. Accanto a questi, ci saranno opere molto più classiche, più romanzesche, comunque narrative. Storie forti o più o meno leggere, visto che ci saranno anche commedie.
E’ stato difficile comporre la selezione?
Al contrario. Per il concorso, è stato molto semplice. Nei due anni precedenti, abbiamo fidelizzato una comunità cinematografica e rafforzato la nostra reputazione su scala internazionale. Questo ci ha permesso di convincere molto facilmente gli autori – alcuni noti, altri meno – a partecipare al festival. Ora, quest’anno, c’erano forse meno film d’autore rispetto a quelli che mi aspettavo, o che conoscevo, di cui avevo seguito la carriera. Siamo quindi partiti all’avventura e abbiamo avuto la fortuna di incontrare opere e cineasti che ci sono piaciuti molto. Penso che la competizione sia di un livello generale alto, con una spiccata presenza americana.
E per quanto riguarda i momenti speciali? Ci sarà un omaggio a Johnnie To…
Lo frequento, lui e il suo cinema, da qualche anno. Lo avevo già invitato a Locarno, ma dato che girava e produceva fino a tre o quattro film all’anno – e spesso in contemporanea! – era sempre molto difficile per lui liberarsi. Poi sembra aver rallentato la sua attività. Visto che ora non fa più di un film all’anno, è riuscito a liberarsi per venire. Sono anche molto felice di aver potuto organizzare una retrospettiva su Otto Preminger, che ha un senso con quelle proposte nel 2010 e nel 2011, Ernst Lubitsch e Vincent Minelli. Mostreremo tutti i suoi film, eccetto uno, bloccato da molto tempo per una questione di diritti.
La sezione Cineasti del presente è rivista al rialzo. Sarà più dotata.
Sì, c’è un premio supplementare. Abbiamo deciso di concentrare i nostri sforzi su questa sezione per valorizzarla rispetto alla Competizione internazionale. La nuova ricompensa sarà attribuita al miglior regista selezionato in Cineasti del presente. Abbiamo anche ridotto il numero di film. Ce ne saranno tredici o quattrodici quest’anno. La Competizione, invece, ne avrà diciannove o venti.
Cineuropa: Quali sono le tendenze di questa 40ma edizione?
Olivier Père: Abbiamo selezionato 22 lungometraggi, 15 dei quali sono di registi al loro primo passaggio a Cannes. Presentiamo inoltre cinque opere prime in corsa per la Caméra d’Or. Abbiamo scelto film che si distinguessero per la loro audacia, la loro singolarità, la loro assunzione di rischi, il loro movimento. C’era molta scelta quest’anno e abbiamo privilegiato le opere che testimoniassero una certa urgenza. Perché è questo il ruolo della Quinzaine.
Sono emerse tematiche trasversali?
Quando si sceglie un film, lo si fa per le sue qualità intrinseche, ma si cerca di disegnare anche un contesto e di fare accostamenti che funzionino. Quest’anno si può notare una forte presenza del rapporto tra finzione e documentario, della relazione tra cinema e reale, in tutto il mondo. Con stili molto differenti, si pone la questione di un cinema non militante, ma impegnato, in connessione con la politica, il mondo e la poetica.
Si può parlare di rinascita del cinema belga, con due titoli nella vostra selezione?
Il cinema belga è in buona salute da qualche anno a questa parte. Sono due film d’autore, ma molto diversi tra loro. Eldorado [trailer] di Bouli Lanners è una commedia agrodolce, un road-movie che presenta un universo estremamente particolare. Joachim Lafosse conferma invece un talento eccezionale con Elève Libre [trailer, film focus], un film più classico nella forma, ma la cui storia, forse più dura, è molto originale e fa pensare.
L’Europa dell’est torna in forze.
Ed è una buona notizia. Da Jerzy Skolimowski, che è un grande maestro e fa il suo ritorno in Polonia e al cinema, a un’opera terza generazionale del romeno Radu Muntean, passando per un’opera prima slovacca di Juraj Lehotsky sull’amore tra ciechi, senza dimenticare un film russo: quest’anno, si assiste a grandi variazioni geografiche segnate dalla forte presenza dell’Europa dell’est e dell’America Latina.
La Quinzaine presenterà l’unico lungometraggio spagnolo selezionato a Cannes quest’anno.
Ed è catalano (El Cant dels ocells di Albert Serra). La Quinzaine invita per il terzo anno consecutivo un giovane regista spagnolo. Da diverse edizioni, manifestiamo un interesse particolare per questa cinematografia, come per gli italiani e i portoghesi: quest’anno abbiamo Francesco Munzi e Miguel Gomes. Ma sono i film che dettano le nostre scelte, non i preconcetti, né le nazionalità.
Cinque film francesi in programma: è il numero ideale?
Sono meno dei sei o sette degli anni precedenti. Il numero cinque non mi stupisce affatto, perché molte valide proposte provengono dal cinema d’autore francese. E se quest’anno ci sono alcuni habitué di Cannes (Bertrand Bonello, i fratelli Larrieu, Claire Simon, Rabah Ameur-Zaïmeche), è perché si tratta di registi che si distinguono per la loro indipendenza, il loro stile e la loro originalità. E’ anche per questo che abbiamo voluto che un giovane cineasta come Nicola Sornaga fosse presente con un film estremamente libero e poetico.
Quali sono le sue impressioni in merito a questo 40mo anniversario della Quinzaine?
C’è un’effettiva coerenza tra ciò che è stato dal 1969 in poi, in termini di selezione dei film, e il nostro programma 2008: film d’autore, di artisti, talvolta opere sperimentali. Apparteniamo alla storia del cinema d’avanguardia, del cinema moderno e del cinema indipendente dal punto di vista economico. Nel 1969, alla Quinzaine erano presenti Glauber Rocha, Fassbinder, Oshima, poi sono venuti Haneke, Jarmush, Egoyan e tanti altri: siamo fieri di questa eredità e speriamo di portarla avanti. E questo anniversario ci permetterà non soltanto di accogliere a Cannes i registi legati alla storia della Quinzaine, ma anche di organizzare fino alla fine dell’anno diversi omaggi e retrospettive all’estero.