Dopo la pubblicazione della ricerca curata da Symbola e Unioncamere su come incide la cultura sulla ricchezza dei territori (5,4% della ricchezza prodotta), molto si è parlato al proposito degli “ingiustificati tagli” che vengono impartiti a territori ed istituzioni, apparentemente (secondo tali studi) senza alcuna cognizione di causa.
La questione su cui riflettere è piuttosto la confusione che tali ricerche, se non adeguatamente comunicate, possono suscitare sul pubblico e sulla cittadinanza.
Da quanto si apprende sulla maggiorparte dei giornali, infatti, sembra che alcuni territori vivano esclusivamente dell’apporto di queste industrie culturali e che quindi la spending review stia rovinando un comparto economico vitale che non permetterà a queste province di eccellere nelle produzioni.

Peccato, però, che non si faccia riferimento al fatto che la misurazione del contributo delle industrie culturali include anche quelle della cultura materiale (moda, artigianato e design), non incluse nella revisione della spesa nazionale e che, possiamo dirlo, contribuiscono in maniera ben più consistente alla sussistenza economica di questi territori.

 

Qui di seguito le prime 10 province:

Come è abbastanza evidente, tutte le prime province sono quasi tutti luoghi di distretti del Made in Italy.
Ammesso quindi che per cultura si intenda anche moda, artigianato, valori della tradizione ecc…siamo d’accordo che la cultura contibuisca per il 5,4% alla ricchezza totale dei territori. Contestualizzando questo dato all’interno della revisione della spesa operato dal governo e quindi alle polemiche scaturite dopo i tagli, rimane da chiedersi: quale di questi distretti gode dei finanziamenti dello Stato? E quanti rapporti mettono in luce questi dati?