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Gunther von Hagens, il celebre medico tedesco che ha fatto parlare di sè nel mondo intero per il suo particolare processo scientifico chiamato “plastinazione”, processo che blocca la decomposizione dei corpi deceduti e li rende solidi, e la sua esposizione itinerante “Body Worlds” lasciano Napoli per viaggiare verso altre mete. Lo scorso 8 luglio, infatti, si è chiusa la mostra allestita nell’enorme complesso del Real Albergo dei Poveri, ristrutturato di recente, lasciando vivo, nella mente dei visitatori, il ricordo di un’esposizione unica nel suo genere, sia per ciò che viene esposto, sia per la particolare commistione tra scienza e arte.
Le polemiche intorno alla mostra sono state tante ed è inutile parlarne ancora una volta, perché hanno già avuto ampio spazio sulle pagine dei giornali di tutto il mondo. Del resto, ogni novità, per quanto possa essere bella o brutta, porta sempre con sè la paura dei più conservatori, e questo accade fin dalla notte dei tempi. Quello che vale la pena sottolineare è il valore simbolico enorme che von Hagens è riuscito a dare attraverso Body Worlds: un modo per riflettere con serenità sulla morte, come neanche Tim Burton sarebbe riuscito a fare con uno dei suoi capolavori cinematografici, ma anche un modo per imparare i meccanismi che regolano il nostro corpo, per capire come siamo fatti dentro, per conoscere i rischi ai quali andiamo incontro se fumiamo o ci ammaliamo gravemente. E il tutto senza dover cercare di tradurre il linguaggio spesso troppo artificioso degli uomini di medicina.
Sulle pedane e nelle teche allestite durante il percorso si trova di tutto: dal cuore ai polmoni, dal sistema nervoso alla colonna vertebrale, dal cervello ai reni, passando anche per gli embrioni (da quando sono piccoli quanto una capocchia di spillo fino a quando assumono le sembianze di neonati pronti ad essere partoriti). Nulla viene tralasciato e si dà molta importanza ai dettagli e alle modalità di esposizione, sia dei singoli organi, sia dei corpi interi, immortalati in pose particolari e dinamiche, per rendere quei corpi defunti, paradossalmente, più vivi che mai e vicini al nostro mondo quotidiano: si va dal chitarrista agli atleti della staffetta, dal chirurgo (ripreso in una posa simile a quella del famoso dottor Tulp di Rembrandt) alla nuova interpretazione dell’uomo vitruviano di Leonardo, a dimostrazione di quanta arte ci sia in questa particolare mostra.
Un’esposizione che, oltre a offrire un’inedita prospettiva del nostro corpo, restituisce anche indicazioni importanti per la nostra salute, offrendo, ad esempio, una sezione del corpo di un uomo obeso oppure il polmone annerito di un fumatore, ben diverso dalla colorazione più vivace di un polmone sano. E di fronte alla meraviglia della natura e alla complessità del corpo umano, nessuno sembra resistere… Neanche i bambini accompagnati dai genitori, che vorrebbero quasi toccare con le proprie mani quei corpi plastinati, tanto è forte lo stupore che provano a guardare quelle meraviglie. Ci si aspetterebbe quasi una reazione di repulsione, di allontanamento dalla visione di corpi che, in fin dei conti, sono pur sempre cadaveri, ma questo non avviene perché il fascino e quella sete di conoscenza tipica di mostre così peculiari prevalgono sul “disgusto” che se ne potrebbe provare. È come guardarsi allo specchio, ma con un vetro che riesce a sezionare le nostre parti più nascoste.
Così, anche nell’ultimo giorno di apertura, le sale sono state riempite da persone di ogni tipo… Dal medico allo studente di fisioterapia, dal semplice curioso all’appassionato d’arte, dal gruppetto di amici alla famiglia completa, dal napoletano al turista. E c’è anche spazio per un giovane studente dell’Accademia che si ferma davanti a uno di quei corpi, tira fuori il taccuino e la matita dalla borsa e inizia a disegnare: scene del genere, tanto frequenti nei secoli scorsi nei musei italiani, oggi sono diventate rarissime e dimostrano ancora di più la bontà e l’interesse che ruota intorno a questa esposizione, senza inutili condizionamenti e senza badare alle solite, noiose polemiche.
Chissà, forse il pubblico napoletano è anche più abituato a questo genere di esposizioni, considerando la presenza del meno noto Museo di Anatomia, con una collezione impressionante di “mostruosità fetali” e numerose altre parti corporee, e delle famose e più antiche “Macchine Anatomiche” (metà del ‘700), esposte nella bellissima Cappella di S. Severo e rappresentate dallo scheletro di un uomo e di una donna, in cui è possibile vedere quasi per intero l’apparato arterioso e venoso. Chissà, forse lo stesso von Hagens si è rifatto, indirettamente, a questi due esempi del passato. E magari, in un’ottica di offerta culturale potenziata, il Comune di Napoli, nel programmare la mostra, avrebbe potuto fare network con le due strutture museali appena citate, offrendo un’esperienza davvero unica nel suo genere. Ma purtroppo, questo è un altro discorso…