Se ne parla da mesi, ormai: da quando le 3 principali agenzie di rating internazionali (Standard &Poor’s, Moody’s e Fitch, non a caso soprannominate le “3 sorelle”) fanno il bello e il cattivo tempo dell’economia mondiale premiando o declassando quello Stato, Ente, Aziende, Società. Ci possiamo fidare dei giudizi che vengono espressi da Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch?

E’ questa la domanda che risuona su agenzie di stampa e media, soprattutto alla luce delle recenti vicende che hanno visto le due principali agenzie (Moody’s e S&P) indagate per aggiotaggio e responsabili di aver sottovalutato la terribile crisi dei subprime incoraggiando investimenti rivolti a banche come Lehman Brothers, poi finite nel baratro della bancarotta. (per i principali errori commessi dalle Big Three, vedi la esaustiva infografica de Linkiesta)

Eppure, nonostante le indagini, nonostante gli ammonimenti provenienti da più parti e gli evidenti conflitti d’interessi (molte delle aziende quotate in borsa di cui le agenzie formulano il rating sono le stesse società che figurano tra i loro azionisti) la loro autorevolezza è ben lontana dall’essere messa in discussione.
Principalmente perché l’economia mondiale necessita di una classifica unificata e standardizzata che guidi il rischio d’impresa e l’affidabilità dei Paesi Internazionali e delle maggiori società quotate in Borsa le cui capacità di rimborso a medio e lungo termine sono determinanti per le scelte degli investitori.

Il rating si applica a istituzioni finanziarie come banche, assicurazioni e istituti di credito, a imprese industriali e di servizi non finanziari, a enti pubblici (Stati, regioni, comuni, province ecc..) e a operazioni di cartolarizzazione (cioè la conversione di crediti o altre attività non agevolmente negoziabili in strumenti finanziari più facilmente collocabili sui mercati) che vengono classificate su una scala che va da AAA (eccellente capacità di onorare le obbligazioni assunte) a D (default) e che vengono riviste ogni anno.

Al rating, come ulteriore criterio a sostegno degli investitori, viene fornito un altro parametro, l’outlook, che può essere “positivo”, “stabile” o “negativo” e che indica la previsione nel medio/lungo termine di mantenere o meno quel determinato rating.

Alcuni esempi: declassate, negli ultimi mesi, in Italia le province autonome di Trento e Bolzano, le regioni Liguria, Marche, Umbria, Toscana, Veneto e Basilicata, le città di Milano, Siena e Venezia mentre, tra le aziende, Finmeccanica, Enel, Eni e Terna o, tra le banche, Intesa San Paolo ed Unicredit, Fideuram e Agos-Ducato.
E la lista contiene molti altri nomi di istituti ed enti locali che inevitabilmente sono finiti sotto la scure delle agenzie statunitensi.

Affinché il giudizio sui mercati sia realmente indipendente e scevro da ogni coinvolgimento (anche territoriale), più volte la BCE si è espressa favorevole alla costituzione di un’altra grande agenzia di rating internazionale, questa volta europea.
Per essere però davvero più trasparente ed oggettiva rispetto alle compagne d’oltreoceano, però, si dovrebbe tentare una via non orientata al profitto (ognuna delle “3 sorelle” fattura in media 8 miliardi di dollari l’anno) contando sui fondi di investitori privati, governi, imprese e fondazioni esterne all’agenzia stessa.

Potrebbe questa rappresentare una soluzione all’eccessivo zelo con il quale vengono giudicati i rating europei delle “Big Three”? Probabilmente no. Alla maggiore accuratezza prospettabile nei giudizi che sarebbe comunque sbilanciata verso l’upgrade dei titoli europei, infatti, non è detto conseguirebbe una eguale autorevolezza che le agenzie (nonostante gli errori commessi e le indagini in corso) hanno conquistato nel tempo come punto di riferimento rispetto alla solidità del mercato. Quale azienda o lobby statunitense smetterebbe di fidarsi delle veterane affidando improvvisamente i propri risparmi ai giudizi di una nuova recluta europea?