Prive purtroppo dello straordinario dono dell’ubiquità, noi “tafterine” inviate al Milano Film Festival 2012 abbiamo passato i dodici giorni dell’evento (12-23 settembre) a dividerci tra incontri, proiezioni e laboratori organizzati ai quattro angoli di Milano come potevamo, combinando mezzi di superficie e metro cittadina per raggiungere le diverse location. La selezione degli spettacoli meritevoli avveniva spesso sulla base della pura ispirazione personale, più raramente su consiglio di amici e colleghi, sempre dopo l’attento esame della rivista-programma cartacea del festival, che è andata poco a poco logorandosi a causa dell’uso prolungato.
Il centro del Milano Film Festival si divide da sempre tra il teatro Strehler, con annessi sagrato e Scatola Magica, e piazza del Cannone a parco Sempione, che ospita il megaschermo per il cinema all’aperto. Oltre a queste location, le proiezioni si sono tenute in molti altri spazi culturali cittadini, quali il teatro Studio, il centralissimo auditorium San Fedele, lo storico cinema Ariosto, lo spazio Oberdan, il Rosetum, il cinema Palestrina e l’Anteo. Ha accolto invece nei fine settimana il cosiddetto “Festivalino”, con un programma di proiezioni dedicato ai più piccoli, la recuperata cascina Cuccagna di via Muratori. Il Comune di Milano ha contribuito mettendo a disposizione la chiamata Casa dei registi, un edificio affacciato sui giardini di Porta Venezia che l’organizzazione ha abilmente assestato per dare alloggio agli ospiti stranieri del festival.
Per comprendere l’entità dello sforzo organizzativo di tale manifestazione, è stato utile fermarsi verso ora di pranzo o nel primo pomeriggio sul sagrato di fronte a teatro Strehler, dove si poteva osservare il lavoro dei membri dello staff, contraddistinti dal magico pass plastificato. Qui, di fronte a una spremuta d’arancia e all’immancabile pc, venivano definiti gli ultimi dettagli organizzativi degli eventi pomeridiani e serali. Altrettanto istruttivo è stato passare a fare due chiacchiere a fine serata nell’area staff, collocata discretamente dietro il megaschermo di parco Sempione, punto di ritrovo notturno degli ospiti italiani e stranieri e degli organizzatori.
Passando al programma, oltre ai tradizionali concorsi di lungometraggi e cortometraggi, occorre segnalare almeno tre rassegne. Si tratta della retrospettiva con tema “Italia ’80 – Quando la tv provò a mangiarsi il cinema”, dei documentari di “Colpe di Stato” e delle anteprime fuori concorso del gruppo “The Outsiders”.
La prima retrospettiva, che si estenderà anche all’edizione del 2013, aveva come oggetto il rapporto tra tv e cinema durante gli anni ’80: il suo intento è stato riflettere sulla qualità del cinema italiano di quegli anni, bollato dalla critica come “opaco” e “desolato”. La riflessione si è articolata attraverso proiezioni, incontri e laboratori con vari registi che hanno lavorato come esordienti in quel periodo. Forse è stato Gabriele Salvatores, durante la sua lezione di cinema all’Ariosto, che parafrasando il titolo della retrospettiva ha dato una prima risposta al quesito: “[la tv] non se l’è mangiato il cinema, ma gli ha dato un bel morso”. Con questo si riferiva alle trasformazioni a livello di grammatica cinematografica e di gusto del pubblico nella sfera cinema che l’ascesa della tv negli anni ’80 aveva portato con sé.
La tradizionale rassegna “Colpe di Stato” è stata curata quest’anno dalla giornalista Paola Piacenza, con il sostegno della rivista Internazionale. Gli 11 film selezionati hanno, a ben vedere, un filo conduttore che si nota a vario livello in ognuno di essi: tutti documentano le dinamiche del potere e le conseguenze della sopraffazione. Tale sopraffazione può essere sia fisica, come ad esempio nel caso della prostituzione in “The Price of Sex” della coraggiosa regista bulgara Mimi Chakarova, che aziendale, nell’italiano “L’accordo” di Jacopo Chessa, sia istituzionale, con la tragedia di “Ici on noie les Algériens” di Yasmina Adi. La curatrice della rassegna, in un articolo contenuto nella rivista-programma della manifestazione, ha parlato di “Colonialismi vecchi e nuovi”, come tema comune alla rassegna.
Infine, “The Outsiders”, il fuori concorso del Mff, conteneva inaspettatamente almeno sei film dedicati alla documentazione della storia della musica e delle performance musicali. Abbiamo assistito ad esempio alla nascita del movimento tropicalista brasiliano in “Tropicália” di Marcelo Machado, alla storia del fangoso festival rock di Glastonsbury in “Glastopia” del regista Temple o alle vicende biografiche del tormentato cantante francese Serge Gainsbourg di Salfati. La musica, insieme al cinema, si è confermato uno degli interessi prioritari del festival, con l’invito di gruppi e cantanti italiani emergenti, che suonavano dal tardo pomeriggio sul palco del sagrato dello Strehler. Tra questi si sono esibiti Lo Stato Sociale, Iosonouncane e Maria Antonietta.
Visto che sono i dettagli quelli che rendono piacevoli questo tipo di manifestazioni, vogliamo citare: 1) le colorate amache per il relax accanto al megaschermo di Sempione, 2) i bicchieroni d’acqua gratis offerti da CAP Holding, impegnata nella lotta contro lo spreco di questa risorsa, 3) l’attenzione alla raccolta differenziata dei rifiuti, 4) l’interesse verso l’alimentazione biologica testimoniato dai menu dei bar del festival e infine 5) le insospettabilmente comode strutture a cubi di legno dello spazio antistante lo Strehler.
Un’ultima riflessione riguarda l’eterogeneo pubblico del festival, che ci è parso determinato a partecipare a questa kermesse, sopportando l’aria fredda delle proiezioni notturne in parco Sempione o rimanendo seduto per terra lungo le pareti delle sale quando i posti a sedere erano andati esauriti. La scelta oculata delle diverse location ha attratto persone diverse e di tutte le età, capaci di mantenere, nonostante tutto, l’interesse per la settima arte e che al Milano Film Festival, hanno trovato uno spazio di divertimento, condivisione e partecipazione.