Il termine “fiducia” deriva dal latino “fidere” e indica la propensione a credere nelle possibilità proprie o altrui, sulla base di diverse valutazioni positive effettuate.
La fiducia implica quindi sia un affidarsi, mettersi in mano, a qualcuno in chiave personale (come può avvenire con un amico o un medico di famiglia) e può arrivare alle vette di un atto di fede (stessa radice etimologica) per cui ci si rimette al volere di un Essere Superiore.
L’atto di fiducia può riguardare le proprie decisioni come consumatore per cui scegliamo di mangiare e vestire dando credito a determinate aziende che riteniamo più affidabili e serie.
In questo caso sono le aziende per prime a cercare di guadagnarsi tale fiducia adottando una strumentistica sempre più articolata: dall’iniziale approccio teso a produrre beni e servizi validi, passando per la pubblicità fino ad arrivare al recente tema dell’accountability.
La “fiducia” è alla base (almeno a dichiarazioni) delle scelte delle banche nelle loro decisioni di erogazione del credito. Si esalta in questo caso ovviamente il lato economicistico e analitico sotteso al termine. Pur essendo nella macro-categoria della fiducia siamo ben distanti dall’atto di rimettere la propria salute in mano al medico di famiglia o il proprio destino in mano a poteri che travalicano l’umano e il contingente.
Ma anche qui ci rendiamo conto di essere all’interno dello stesso recinto concettuale, pur sfumato in ambiti diversi, quando l’economia e la religione si ricongiungono e assomigliano in certe modalità di espressione. Si pensi alla, ormai sulla bocca di tutti, “fiducia nei mercati”.
Il Mercato ha acquisito la lettera maiuscola non solo sulla carta ma nella mente e nelle idee di molti (forse sarebbe più corretto dire “nelle ideologie”) ed è diventato un qualcosa da idolatrare, al cui attribuire poteri propri di riequilibrio e capacità autonoma di gestire le sorti delle umane genti, indipendentemente e talvolta anche contro la loro volontà, naturalmente con esiti positivi (basti pensare alla “mano invisibile” di Smith in pieno 1700). E’ un dio che spesso richiede anche sacrifici (le ricorrenti “lacrime e sangue”caratterizzanti molte “manovre politiche”) e che come tutte le “Entità altre” viene re-interpretato, nelle varie fasi storiche, in modi diversi più o meno immanenti (si pensi agli “spiriti animali” di Keynes).
Ma l’interpretazione che si dà a un termine altamente declinabile come quello in questione non dipende solo dal contesto ma anche dal soggetto che interpreta e le tendenze variano quindi anche a secondo delle nazioni.
Esistono, infatti, popoli più portati a dare fiducia con facilità e altri popoli tendenzialmente più restii a riporre le proprie speranze nelle mani altrui.
La logica sottesa a tale atteggiamento nazionale è spesso nascosta (o rivelata) dall’etimologia stessa dei termini.
Il termine “trust” inglese deriva probabilmente, infatti, dal sostantivo “truth” che vuol dire “verità”, il che ha implicazioni molto più stringenti: si può riporre fiducia solo in qualcosa di veritiero.