Da quasi quarant’anni il teatro è stato ammesso fra le attività “trattamentali” finalizzate al reinserimento sociale dei detenuti.
La Legge n° 354 del 1975 prevede infatti che “il trattamento penitenziario dei condannati e degli internati abbia carattere rieducativo e che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale e prevede, altresì, che la comunità locale (privati, istituzioni, associazioni pubbliche o private) partecipi all’azione rieducativa svolta nei confronti degli stessi”.
Da allora, gli istituti di pena hanno ospitato con una certa regolarità gli operatori teatrali e occasionalmente, spettatori esterni.
Per quanto concerne la regione Emilia Romagna la ricezione di questi principi a livello istituzionale si è definitivamente consolidata e formalizzata nel Protocollo sul Teatro Carcere dell’aprile 2011 fra l’Ente Regionale e varie istituzioni ed associazioni di volontariato. Tale Protocollo riconosce : “ la necessità di superare l’idea del carcere come luogo di pena attraverso il sostegno di progetti di comunicazione sociale al fine di portare la tematica carceraria e della giustizia all’attenzione della cittadinanza, per instaurare un rapporto diretto tra i detenuti e il mondo esterno dal quale sono momentaneamente esclusi”.
Quello emiliano in realtà è un laboratorio teatrale che lavora dietro le sbarre da almeno un ventennio, per molti versi nascosto alla popolazione “libera”, e tali esperienze locali (attualmente sono nove i laboratori di teatro carcere attivi negli istituti di detenzione per adulti) disegnano nel loro complesso una mappa assai articolata di realtà produttive sul piano teatrale e sono spesso volano di altre iniziative di formazione, lavoro e socializzazione che hanno importanti ricadute sociali ed economiche sul territorio. I detenuti che scelgono di iniziare questo percorso creativo, quando la rappresentazione viene fatta fuori dalle mura del carcere, non ottengono permessi-premio, bensì permessi di lavoro; ciò significa riconoscere in tali attività la dignità di un lavoro vero e proprio, oltre che un accrescimento culturale dell’individuo. In questo quadro il detenuto può trasformarsi così da “aggravio economico” a “risorsa” per la comunità.
L’attore e regista Paolo Billi, portavoce del Coordinamento Teatro Carcere Emilia Romagna (associazione di volontariato che in tale ambito promuove le interazioni con le politiche culturali e sociali del territorio) opera da molto tempo nella realtà delle carceri bolognesi; la sua attività di un decennio all’interno del carcere minorile è sfociata in una iniziativa, caso unico in Italia, grazie alla quale gli spettatori stessi sono entrati in carcere per assistere allo spettacolo, e così per tutte le numerose repliche successive. Questo nonostante la mancanza di finanziamenti, i trasferimenti ed i turnover dell’amministrazione penitenziaria, che spesso hanno rischiato di mandare in fumo le attività formative della compagnia .
I risultati degli sforzi congiunti fra istituzione penitenziaria,amministrazione locale e mondo del volontariato iniziano proprio in questi ultimi anni ad emergere all’esterno anche attraverso periodici incontri pubblici come quello svoltosi nel maggio di quest’anno: “Stanze di Teatro in Carcere 2012” nato per valutare e divulgare l’impatto dell’intervento teatrale in carcere, nella speranza che – usando l’espressione coniata dal recentemente scomparso storico del teatro Claudio Meldolesi – il teatro, in futuro, possa riuscire nell’arduo compito di contrastare “l’emarginazione con l’immaginazione”.