La scoperta sullo sfondo della Gioconda di due dettagli apparentemente insignificanti (uno scorcio di tetto a falde e un muretto di finitura) e la messa a fuoco sulla riflettografia del disegno di un arco del ponte (non visibile nel quadro poiché nascosto con la finitura di cui sopra, che simula un muretto) parrebbero di scarso rilievo. In realtà tali minuti dettagli costituiscono dati di realtà tanto più significativi poiché il Pittore li ha deliberatamente inseriti nel dipinto nonostante fossero banali e privi di valenze simboliche, addirittura “antiestetici”.

La mera considerazione dei dettagli scoperti (tralasciando in questa sede le risultanze della ricerca pubblicata in Glori-Cappello, Savona 2011, che individuano ben otto coordinate che identificano il paesaggio di Bobbio), testimonia di per sé l’esistenza di un paesaggio reale sullo sfondo, con tutto quanto può conseguirne per la comprensione del ritratto originale nel suo complesso.
Infatti, se il paesaggio non fosse reale non si spiegherebbe il minuzioso impegno di Leonardo nel raffigurarlo fin nei dettagli più irrilevanti, arrivando a riprodurre uno scorcio di tetto e a simulare una porzione di muretto a finitura architettonica per il nascondimento del disegno dell’arco del ponte (visibile in riflettografia).
Circa la struttura spiovente a falde dietro la spalla sinistra della modella si è già pronunciato in passato con grande acume Pietro Marani, sottolineando pure l’incompiutezza della costruzione riscontrabile sul colmo della stessa:
“Oscuro è… il significato di una struttura a falde spioventi che appare subito dietro il fianco sinistro della dama (a destra per chi guarda il dipinto), come se si trattasse della copertura a capanna di una costruzione architettonica non finita, forse la stessa cui appartiene la casa con loggia sotto la quale sta la “Gioconda” (Marani P.C., Leonardo, La Gioconda, Firenze 2003, p.33)

In connessione con la reale esistenza del paesaggio e la presenza sullo sfondo di un complesso architettonico (al quale i dettagli appartengono) anche la tesi prevalente, che vuole la donna integralmente immersa in una natura astorica, svuotandone soggettività e concreta esistenza storicamente determinata, muta di segno, poiché la modella, che evidentemente è stata ritratta contro uno sfondo che è parte della sua reale esistenza, oltre che icona portatrice di valori e verità universali, è anche una “donna in carne e ossa” con una sua vita/ storia/destino.
Nello specifico, quei piccoli dettagli presenti sull’originale del Louvre e assenti o infedelmente riprodotti nelle copie note, offrono le informazioni necessarie e sufficienti per concludere che:
lo sfondo del ritratto corrisponde a un paesaggio reale in cui sono inseriti anche minimi manufatti architettonici relativi ad una costruzione complessa posta alle spalle della modella;
– il disegno dell’arco poi nascosto sta a comprovare l’esistenza concreta del ponte, in quanto non necessitano disegni schematico-preparatori di quel tipo per dipingere un ponte del tutto simbolico. Quell’arco successivamente coperto col colore sta inoltre ad indicare che nel dipinto l’originaria posizione del ponte è stata spostata indietro rispetto all’iniziale posizionamento (per inciso, la posizione originaria dell’arco poi nascosto coincide esattamente con la posizione del ponte Gobbo di Bobbio, visto dalla finestra del castello Malaspina Dal Verme ove la ricerca ipotizza locata l’antica loggia).
Proprio quell’arco nascosto e visibile all’infrarosso – scoperta resa nota nel luglio 2012 e pressoché ignorata- potrebbe costituire la “cartina di tornasole” dell’originale, poiché caratteristica peculiare ed esclusiva della Gioconda del Louvre.

Tra le tante plausibili spiegazioni del perché Leonardo abbia scelto di raffigurare quei dettagli architettonici, una vale per tutte: perché il tetto a falde “non finito” e l’arco del ponte “stavano là” e perché, per nascondere l’arco doveva simulare una finitura muraria a ridosso dello spiovente a falde .
Passati finora inosservati, quei frammenti di realtà sullo sfondo si rivelano alfine carichi di potenziale informazione. Anche in rapporto alla più stringente attualità, caratterizzata dall’emergere di copie più o meno “gemelle”, essi possono dare un significativo apporto informativo.
SEGMENTI RARI DI DNA NEI DETTAGLI: L’ORIGINALE E IL DILEMMA DELLE COPIE

E’ dei giorni scorsi il comunicato della fondazione svizzera “Mona Lisa Foundation”, che ha annunciato che esistono le prove “storiche, comparative e scientifiche” che Leonardo da Vinci abbia dipinto una versione della Gioconda detta “Isleworth Mona Lisa” prima di quella celebre in tutto il mondo ed esposta al Louvre. Nella relazione presentata alla fondazione svizzera il direttore del “Museo Ideale Leonardo Da Vinci” Alessandro Vezzosi l’ha definita un’opera importante che merita rispetto, considerandola un’ipotesi di lavoro da discutere nel confronto tra studiosi e sollecitando un apposito convegno.
Per converso il professor Martin J. Kemp evidenzia l’inferiore qualità pittorica del ritratto, citando le differenze che esistono fra le due opere, sottolineando che il ritratto di Isleworth è fatto su tela e che a suo giudizio non può essere attribuito a Leonardo dato che i suoi ritratti sono su tavola.

La “Isleworth Mona Lisa” in passato è stata oggetto dello studio di Henry Pulitzer (pubblicato nel 1966 col titolo “Where is the Mona Lisa?”), il quale la accreditò come ritratto autentico di mano di Leonardo, con conseguente rigetto degli esperti. Così pure fecero Antonio Manuel Campoy nella sua monografia sul Museo del Prado del 1970 per la copia madrilena coeva ora restaurata e, alla fine del Settecento, Joshua Reynolds per la sua Gioconda avuta da Francis Osborne, quinto Duca di Leeds .
Lo studio comparativo sulla copia del Prado, dipinta in contemporanea con la Gioconda del Louvre, ha posto in luce che sussistono forti analogie con il paesaggio dell’originale, ma su tale copia fedele i due dettagli architettonici sono confusamente tracciati, mentre l’arco in riflettografia non compare (probabilmente perché l’allievo che lavorava al fianco di Leonardo nella sua bottega non conosceva personalmente il paesaggio).
Per altro verso la differenza tra il paesaggio della “Isleworth Mona Lisa” e quello dell’originale del Louvre è macroscopica e ovviamente mancano del tutto sia i due dettagli architettonici che l’arco visibile all’infrarosso (per quanto il paesaggio “lunare” dello sfondo richiami vagamente a prima vista rocce in primo piano e orizzonte desertico della seconda versione de La Madonna dei fusi, ritenuta copia di bottega di Leonardo).

Il raffronto tra l’originale del Louvre e le copie che si candidano per essere riconosciute “di mano di Leonardo” è sempre problematico e per lo più il dibattito resta circoscritto a un gruppo ristretto di specialisti.
Tuttavia in questo caso i due dettagli architettonici dalla forma singolare visibili a “occhio nudo” sulla Gioconda del Louvre unitamente all’arco celato nell’underdrawing, visibile all’infrarosso, possono apportare un contributo al dibattito, poiché qualunque copia che si proponga come “l’originale” si trova a fare necessariamente i conti con il fatto che Leonardo ha riprodotto minuziosamente lo sfondo e che ha eseguito il disegno di un arco sporgente da un ingombro a falde “non finito” sul colmo, sovrapponendo in seguito all’arco un dettaglio di finitura muraria.

Poiché tali “porzioni di costruzioni”, dalle caratteristiche peculiari, rivelano che sia lo sfondo che il posto della seduta di posa del ritratto esistevano (per la mia tesi esistono) e la loro presenza sullo sfondo – in particolare quella esclusiva dell’arco nell’underdrawing – valeva (vale) a caratterizzare con precisione il luogo (quel determinato luogo) della seduta di posa.

Pertanto se una delle copie note corrispondesse a una seconda versione “originale”della Gioconda (cosa mai provata) in tal caso il Maestro avrebbe trasformato lo sfondo di realtà in qualcosa di sostanzialmente diverso, cancellandone o alterandone elementi di concreta specifica realtà da lui riprodotti dal vero (con una metafora si direbbe “apportando una qualche “alterazione genetica” al DNA originario”).

Al di là delle ricerche nell’invisibile di una tecnologia sempre più sofisticata (ormai inaccessibile al misero ricercatore e a umani “controllori”) i “dettagli” scoperti sullo sfondo, ben visibili con un piccolo sforzo di concentrazione visiva su pubblicazioni in commercio e su monitor di un computer domestico, restano quali rari segmenti del DNA del capolavoro, e, qualunque sia il pensiero di ciascuno circa l’originale e le copie, concorrono in modo peculiare a marcare l’unicità e la “mano dell’Autore” della Gioconda conservata al Louvre.

In conclusione: lo “spasmodico” interesse ai dettagli non è qui fine a se stesso, ma volto a questioni sostanziali, quali la comprensione del ritratto e delle caratteristiche dell’originale e in questo caso il detto popolare “Il diavolo sta nei dettagli” – niente affatto banale dato che affascinò menti raffinate quali Gustave Flaubert (Le bon Dieu est dans le détail) e Aby Warburg (Der liebe Gott steckt im Detail), che tuttavia gli preferirono la versione “Dio è nei particolari”- si conferma estremamente prezioso.

Grafica: Ugo Cappello