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C’era una volta l’America. C’era e c’è ancora e forse adesso è anche più vicina. C’era l’american dream dei nostri bisnonni, come quello del romanzo “Vita” che spinse i due piccoli protagonisti ad affrontare un lungo viaggio e molte sofferenze per sbarcare ad Ellis Island e da lì tentare la fortuna, e c’è l’american dream dei nostri tempi, in cui giovani di belle speranze provano a rifugiarsi dalla crisi economica che ci attanaglia in quell’ “angolo” di mondo in cui tutto sembra possibile e realizzabile. E poco importa in realtà se la crisi è da lì che si è generata andando poi ad intossicare i mercati d’Europa e a paralizzarne l’economia. Poco importano le contraddizioni del sistema americano o le difficoltà sociali ed economiche cui si va incontro. Siamo ancora dei sognatori e siamo profondamente imbevuti di cultura americana, forse più di quanto possiamo pensare.
E’ un dato di fatto, ad esempio, che le nostre sale cinematografiche siano occupate quasi sempre da pellicole made in USA, che diffondono e miticizzano la realtà americana, diventando veicoli di modelli comportamentali e sociologici da cui difficilmente non ci lasciamo influenzare. Serie tv e reality show del nuovo mondo spopolano, portandosi dietro un bagaglio di scelte estetiche e musicali che in poco tempo conquistano il pubblico e la critica. Siamo nell’era di Facebook e di Twitter, invenzioni americane diventate in poco tempo fenomeno di massa a livello mondiale: la loro fama e diffusione crescenti hanno garantito l’apertura di un canale di collegamento privilegiato per la comunicazione e la divulgazione di stili di vita e di comportamento.
Quanto accade di là dall’Atlantico è sempre monitorato: chi in questi giorni non è al corrente dell’andamento dei sondaggi per le elezioni presidenziali americane? Si può dire lo stesso per altri paesi? Probabilmente no, ma c’è poco di cui stupirsi: ciò che accade in America è, nel bene e nel male, sempre argomento di discussione. Discussione che negli ultimi decenni, però, si è fatta più costruttiva: non più accettazione totale e immediata dei modelli yankee, ma vaglio attento e oculato. A venire meno, probabilmente, è stata la fiducia incontrastata nei mezzi e nel modus operandi americano: pensare che la crisi economica di questi ultimi cinque anni abbia avuto inizio da lì e che ancora neanche loro siano riusciti a trovare una via d’uscita, ci ha fatto o, quantomeno, dovrebbe farci trovare maggiore sicurezza nei nostri mezzi, mezzi che potrebbero diventare modelli per altri. Una visione che dovremmo estendere a tanti campi, da quello economico che al momento risulta il più pressante, a quelli più sociali e di massa. E nell’America possiamo trovare uno dei nostri interlocutori più importanti, se non il più importante.
Da qui la necessità di un interscambio, di un incontro tra modelli, dal cui confronto si potrebbero ottenere nuove idee per reindirizzare ambo i paesi verso una ripresa e una nuova crescita.
Il sogno americano rimane e rimarrà il sogno di noi giovani, italiani e non, ma è necessario non azzerare il proprio modo di vivere, non uniformarsi indiscriminatamente all’”american way of life”, ma mantenere la propria unicità per contribuire con il proprio stile di vita allo sviluppo. E’ quindi importante evitare di indirizzarci verso un’uniformità di costumi, scelte e punti di vista che non farebbero altro che creare tante piccole copie di una stessa matrice che non avrebbero nulla da offrire in termini di crescita e di progresso.