Il tavolo sul Decoro al MiBAC si è appena chiuso con la firma del Ministro Ornaghi alla Direttiva che prevede il divieto di esercitare attività commerciali a carattere ambulante in determinate aree monumentali oggetto di tutela e zone limitrofe a beni di valore storico, artistico, archeologico, paesaggistico, architettonico. Provvedimento tanto opportuno quanto passibile di analisi sfavorevoli.
Etimologicamente il decoro è convenienza, dignità, decenza, ornamento. Sotto questo aspetto, la sua tutela è particolarmente importante quando associata ai beni culturali, senza dubbio. Il nostro è un paese disseminato di aree rilevanti dal punto di vista storico e artistico, spesso legate anche al culto, alla religione, fatto che ne aumenta le necessità di salvaguardia di un “certo” contesto. La polemica relativa alle attività più o meno commercial-folcloristiche che intorno a queste aree e monumenti da sempre proliferano, ha portato all’approvazione di una direttiva che vorrebbe impedirne l’incremento degli aspetti più “deturpanti” a danno dei beni stessi.

Il nostro è anche un paese che, compatibilmente con le vicende di crisi attraversate da tutti i settori, ha nel turismo e nel richiamo esercitato dalla densità storica e culturale che ci è toccata in sorte, uno dei propri capisaldi economici. Lo straniero in visita alle nostre più famose bellezze architettoniche e artistiche, prende coscienza di esse inserite nell’attuale contesto, ovvero frequentemente circondate da quelli che potrebbero sembrare colorati bazar, con le loro ovvie implicazioni di disordine e realtà non di rado abusive. Se da un lato, questo nuoce all’immagine del patrimonio stesso, ne è del resto una cornice che è quasi divenuta tradizione, forse poi non così oltraggiosa, e per molti esercizio di una professione. Il caso dei figuranti centurioni che popolano la piazza del Colosseo, e della loro protesta dei mesi scorsi rispetto alla volontà dell’amministrazione locale e centrale di allontanarli dall’area, vietandone di fatto l’attività, è emblematica.

La direttiva firmata in questi giorni prevede azioni tanto auspicabili quanto generiche, che come sempre in questi casi sarà possibile valutare positivamente o negativamente solo al momento della loro effettiva applicazione. Perché la generalità dei principi unanimemente sottoscrivibile, troppo spesso non corrisponde ad una messa in pratica altrettanto senza macchia. Sarà inevitabile il sollevarsi di obiezioni e lo svilupparsi anche nell’opinione pubblica di ulteriori riflessioni sulla difficoltà di conciliare esigenze di tutela del patrimonio culturale e della sua fruizione, con l’ambiente circostante e l’indotto economico connesso, al di là dell’ovvia bontà, nelle intenzioni di partenza, del provvedimento ministeriale.

Agli osservatori più attenti poi non potrà sfuggire il dilemma di fondo rispetto a chi debba stabilire, e in base a quali criteri oggettivi, cosa sia o meno “decoroso” e “dignitoso”, per le nostre città, chiese, paesaggi e monumenti. Se l’immondizia certamente non lo è, così come gli atti vandalici gratuiti, e come la pacifica sopravvivenza di varie infrazioni e irregolarità, non è detto che lo stesso valga per l’esercizio di alcuni di quelli che correttamente possono essere definiti “mestieri”, che accompagnano da tempo la storia delle nostre attrattive.

Sarebbe auspicabile il raggiungimento di un delicato e intelligente equilibrio fra il risanamento delle aree di pregio e il ripristino della legalità attorno ad esse, ed il rispetto di alcuni degli “attori” che contribuiscono e fare di esse quello che sono, e la custodia della loro microeconomia. Regolamentare dovrebbe essere sempre la parola d’ordine, al posto di vietare ed allontanare, ma come spesso avviene farlo in maniera corretta è impresa difficile. Battere la strada della rimozione coatta, con ogni probabilità, porterà a controversie di varia natura, e forse al radicarsi di nuove forme di commercio illegittimo.