Mecenatismo e filantropia, due concetti che rimandano col pensiero a quei settori dell’economia e della società che necessitano di interventi di sostegno e incentivazione per alimentarsi e fiorire. E’ fra questi che si annovera la cultura.
Una delle voci più interessanti del dibattito attuale è l’economista Stefano Zamagni, il quale sottolinea la profonda differenza fra i due concetti. In vista del raggiungimento di un fine meritorio, il mecenatismo non presuppone la sola messa a disposizione di risorse, ma vuole fornire anche il know how e la creatività adeguati per realizzare l’obiettivo. Diversamente, la pratica filantropica si limita ad assegnare risorse, mancando di una effettiva condivisione dei processi. La differenza alla base è quella fra asset building e redistribuzione del reddito. Per consentire al settore artistico culturale di svilupparsi in modo duraturo è necessario, sostiene Zamagni, operare col mecenatismo sul versante dell’asset building, e non limitarsi ad una redistribuzione di risorse.
Questa riflessione mette in luce la debolezza di molte politiche culturali promosse nel Bel Paese. Lo Stato italiano storicamente si è posto come principale sovvenzionatore della cultura. Negli ultimi trent’anni, però, intuendo i benefici che possono derivare dalla decentralizzazione e dal connubio pubblico-privato, è stato avviato un processo di apertura. Dalla legge 512/1982 diverse disposizioni hanno incentivato l’attività di aziende, enti non commerciali e cittadini a sostegno alla cultura.
Nonostante il cambiamento intrapreso, le politiche culturali italiane sono sempre state caratterizzate da scarsa portata innovativa. I principali strumenti per contribuire al sostegno del settore sono le erogazioni liberali e i contratti di parternship e sponsorship. Sul versante delle erogazioni liberali le misure più incentivanti sono pensate per le imprese, le quali riescono a ottenere la deducibilità totale. Le imprese stesse sono i soggetti che più hanno elargito nel periodo 2005-2009 realizzando il 64,4% delle donazioni, seguite dagli enti non commerciali, fra cui le Fondazioni d’origine bancaria, con il 35,4% e dalle persone fisiche con il 0,2%.
Secondo quanto dichiarato dall’Ufficio Studi del MIBAC, fra le misure a sostegno al settore culturale le aziende eleggono come canale preferenziale una modalità operativa più vicina al marketing che alle dinamiche del non profit: nel nostro Paese è la sponsorizzazione la pratica maggiormente diffusa. Anch’essa consente la deducibilità totale delle somme erogate, rientranti fra le spese di pubblicità, ma prevede il pagamento dell’IVA. Le ragioni della preferenza sono quindi da rintracciarsi nel maggior corrispettivo garantito in termini di immagine, nella maggiore semplicità della procedura di attuazione e, infine, nella scarsa conoscenza della premialità associata alle donazioni.
Le Fondazioni d’origine bancaria negli ultimi anni, prima dell’acuirsi della crisi, hanno progressivamente aumentato il volume delle donazioni, emergendo fra i principali mecenati. Nel ruolo innovatore che potrebbero assumere nel settore culturale ha piena fiducia l’economista Pierluigi Sacco, che vede nella loro vocazione territoriale e diffusione nazionale le condizioni per farle promotrici di una rete di laboratori di sviluppo locale a base culturale. Altrettanto interessanti sono le possibilità aperte dalle Fondazioni di Comunità, soggetti di origine statunitense importati dalla Fondazione Cariplo e successivamente diffusi nel Nord Italia. Si caratterizzano per il forte radicamento territoriale e per saper rispondere ai bisogni locali con procedure organizzative flessibili e coinvolgendo direttamente i cittadini.
Le reti di fondazioni, promuovendo relazioni basate sul mecenatismo così come inteso da Zamagni, potrebbero dare nuovo impulso al sistema culturale italiano e alle sue politiche, restituendo al Bel Paese parte della leadership persa in questo settore.