Vive di vita propria la pittura – “genere” che va stretto al maestro tedesco – di Anselm Kiefer. È rigonfia di materia, sprigiona squarci e sussulti vitali, erutta colori pastosi, terre e legami con una cultura visiva che non ha provenienze culturali specifiche, proprio perché è frutto di processi e contaminazioni così ampie da apparire come un linguaggio universale. Così come globale è il suo approccio alle cose e a tutti quei temi che caratterizzano il nostro tempo, come ad esempio la storia. E in tal senso ci viene incontro una dichiarazione dello stesso Kiefer: “Che cos’è la storia? La storia non esiste in modo obiettivo. È puramente soggettiva. È nelle mani degli artisti, come lo era nelle mani di Dio nella Genesi. È ciò cui, innanzitutto, si deve dare forma. Questo presupposto è fondamentale per accostarsi alla sua mostra personale Der fruchtbare Halbmond / La Mezzaluna fertile in corso nel magnifico spazio milanese di Lia Rumma. I tre piani – praticamente dei loft disegnati con grande rigore formale – della galleria di via Stilicone accolgono l’impeto energico di opere di grande qualità. Non le classiche opere “da galleria”, niente formati relativamente ristretti per assecondare i gusti – e gli spazi – dei collezionisti. Ma opere monumentali, qualcuno direbbe museali, che si caratterizzano per l’accostamento di materiali eterocliti, per l’uso furibondo di lamine arrugginite mixate a pigmenti ferrigni, neri bituminosi e verdi ossidati.
Residui di monumenti, grandi pietre sospese a contatto con la corporeità voluttuosa dei dipinti, libri giganti da contemplare come simulacri di luoghi e epopee atemporali, per ribadire ancora una volta che la forza espressiva di Kiefer non lascia spazio ai margini, ai generi, alle dimensioni, alla storia stessa. Respira autonomamente anche l’installazione che accoglie il visitatore all’ingresso del piano terra: una vecchia macchina tipografica che sprigiona lingue di carta, vere e proprie tracce di una storia da riscrivere, reinventare, senza finalità commemorative, ma con un’energia vitale che contraddistingue l’opera del maestro tedesco anche quando guarda a momenti bui della civiltà, a luoghi ormai distrutti e conosciuti soltanto tramite antiche leggende tramandate per millenni da diverse civiltà. S’intravedono colonne, scale, vegetazioni lussureggianti che lasciano spazio a successive ricostruzioni, a metodi d’indagine che non prevedono di fornire una soluzione, un’interpretazione univoca.
Ma se pensiamo a Milano in relazione all’opera del maestro tedesco – nato nel 1945 a Donaueschingen e residente a Parigi da qualche anno – e all’operatività della stessa Rumma, non possiamo non citare i Palazzi celesti, imponenti architetture che reclamano una contemplazione quieta in quell’altro stupefacente luogo della cultura artistica contemporanea che è l’Hangar Bicocca, dove sono proposti in permanenza dal 2004, anno di fondazione dello spazio espositivo.