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Potere dell’immagine: quando si tratta di orientare le motivazioni di acquisto, i “repin” sulle bacheche visive di Pinterest sono una vetrina più potente delle condivisioni di opinioni su Facebook. È il risultato di una recente ricerca condotta da BizRate Insights su un campione di 7431 consumatori online, da cui emerge che il 70% degli utenti di Pinterest usa la piattaforma “per trarre ispirazione su cosa acquistare”, contro un 17% che dichiara la stessa abitudine tra gli utenti di Facebook.
Certo, le cifre assolute sono ancora tutte a favore del colosso di Zuckerberg, che continua a detenere saldamente il primato per numero di iscrizioni, ma la tendenza esiste. Ed è rafforzata dalla parallela crescita di Pinterest sul versante del brand engagement, ovvero della capacità di un marchio di creare partecipazione attiva da parte del consumatore: la stessa ricerca infatti rileva che in una progressione ideale del ruolo degli utenti da semplici “osservatori” a “partecipanti”, fino a veri e propri “creatori” di contenuti, Pinterest si piazza decisamente sul versante del massimo coinvolgimento.
Il dato d’altra parte non fa che confermare un principio ormai da qualche tempo ben noto agli addetti ai lavori: l’immagine di marca, oggi, dipende sempre più da parametri social, come appunto la condivisione di stili e gusti che è il vero motore di Pinterest. Ma non solo.
Il meccanismo di fondo alla base di questo processo è infatti più ampio e complesso e rimanda a quella che Michael Fertik, pioniere della web reputation, recentemente intervenuto a Roma durante la terza edizione del Pomilio Blumm – International Communication Summit, ha chiamato “reputation economy”.
“Reputation is bigger than brand”: questo il titolo della lectio tenuta nel corso del summit e la sintesi della sua visione. Secondo Fertik, infatti, già oggi la maggior parte del valore di marca – circa il 75% stando ai dati presentati in anteprima al pubblico del Summit – dipende da dinamiche legate alla reputazione, che ormai rappresenta appunto “un concetto di gran lunga più importante e influente del brand”. “81 delle 150 maggiori aziende statunitensi – ha spiegato il fondatore di Reputation.com – riservano ingenti risorse per la difesa della proprio reputazione sul web, consapevoli che il 97% dei consumatori prima di acquistare un prodotto consulta le recensioni e le opinioni degli altri utenti sul web”.
Alla base, una personalizzazione del concetto di marca, che viene sottoposta a giudizi di natura non solo utilitaristica e commerciale, ma sempre più legati a stili di vita, scelte etiche e responsabilità sociale, secondo un processo di moralizzazione che sta investendo progressivamente anche gli altri social network. Ne è convinto anche Biz Stone, direttore creativo e cofondatore di Twitter, intervenuto in diretta da Los Angeles nel corso dello stesso evento: “Nel prossimo futuro – ha detto – i social media saranno sempre più finalizzati al bene comune e utilizzati per progetti etici, come creazione di engagement, coordinamento tra pari e gestione delle emergenze. Tra qualche anno anzi – ha aggiunto – non ci saranno più social media, perché tutto, oggi, è già mediatico e sociale”. A partire, appunto, dalle esperienze di acquisto.