Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Imitationofdeath: è questo il titolo della mia prima esperienza con Ricci/Forte, all’interno del festival di RomaEuropa che unisce teatro, danza e musica per due mesi, appuntamento d’obbligo per gli amanti del palcoscenico.
I nomi di Ricci/Forte risuonano oramai da quasi dieci anni negli ambienti teatrali, il loro è definito teatro-performance e spesso descritto come “una vera avanguardia” o associato a parole come crudo, aspro, trasgressivo.
All’arrivo al Teatro Vascello la prima cosa che colpisce è il pubblico, diviso in due macro-categorie: gli amanti di Ricci/Forte che vociferano sul fatto che visti loro si faccia fatica a vedere altro e che attribuisce loro il titolo assoluto di veri innovatori, di potenziali “salvatori” del teatro in Italia, e i curiosi, che sono al primo incontro con loro e non sanno che aspettarsi, con venature di scetticismo qua e là. Il pubblico ha un’età media di una trentina d’anni, diversi hipster, tanti stranieri.
Quello che si coglie è un ambiente vivo, un po’ totalizzante perché il pubblico è numerosissimo e fin dall’inizio ogni angolo del teatro è occupato, dalla cassa, al bistrot del teatro dove tutti ordinano bicchieri di vino e raffinati stuzzichini.
E’ anche diffuso un certo orgoglio di status tra il pubblico, una certa fierezza dello stare per assistere per la prima o la centesima volta a qualcosa che si deve universalmente riconoscere come innovativo, sensazione a tratti indisponente per chi crede nella potenza del teatro come collante sociale, come strumento di diffusione della cultura, di conoscenza della storia, come collettore di individualità eterogenee.
Si entra con gli attori già in scena, il palco privo di quinte, a nudo anche lui, con i vestiti e le bottigliette d’acqua e gli oggetti personali dei performer ai lati, dietro scalei, vestiti accartocciati, macchine teatrali a riposo.
Le prime parole tratte dal Vangelo e poi invece corpi che cominciano ad agitarsi, battute che fanno eco, ritmo serratissimo, pezzi di vita dei performer che emergono e che si alternano tra parti recitate e parti improvvisate.
E’ lo stomaco dello spettatore l’interlocutore, non sono gli occhi; lo spettacolo è un porgere il vissuto dei performer, dei loro corpi, del loro passato e della relazione viscerale che si può creare tra di essi nella costruzione di un lavoro come questo.
Emerge una loro esperienza totalizzante; a volte si mescolano tra il pubblico, fanno domande a cui però rispondono loro stessi.
Tutte le battute sono una confessione intima del singolo attore; la scena in cui gli attori indossano la maschera dichiarando ognuno prima di indossarla chi è il suo supereroe, e poi il levarsi i vestiti e il muoversi perfettamente sincronizzati a coppie con i corpi nudi in relazione costante crea un evidente effetto irrigidimento del corpo degli spettatori.
Si assiste ad un susseguirsi di ascolto delle emozioni dei performer, la “provocazione”, se così vogliamo chiamarla, consiste nella resa pubblica di un’intimità che determinate esperienze di laboratorio finalizzato ad una performance fanno sorgere; alla perfezione della tecnica fisica che il corpo deve raggiungere nell’”atto spettacolo” quando gli è richiesto di uscire dall’ordinario, si aggiunge la messa in comune con gli altri del proprio vissuto, della propria fragilità, come se “il prodotto finale” avesse valore catartico per chi lo realizza.
La musica, i microfoni a stelo dove i performer a turno si recano a parlare fanno da grande amplificatore allo spettacolo, così come il titolo dell’oramai imprescindibile inglese, l’alternarsi dell’italiano e del francese a seconda della nazionalità dei performer, perchè il disagio, la debolezza, l’ansia e la paura hanno carattere decisamente universale e in almeno un momento ognuno di noi non può esimersi dal ritrovare se stesso in qualche immagine che gli è trasmessa davanti, in qualche domanda esistenziale posta; è uno scontro frontale con i tabù non solo sociali, ma anche di ognuno con se stesso.
Il senso che rimane addosso uscendo è quello di curiosità dell’evoluzione, quando questo spettacolo avrà alle spalle numerose repliche, per capire come si trasformerà la relazione del gruppo, a che livello di profondità arriveranno le domande esistenziali a cui la nostra mente non trova una risposta definitiva, ma solo legata alla contingenza dell’esperienza individuale, e per capire se gli elementi che bloccano, spiazzano gli spettatori e che fanno affiancare la parola trasgressione alle performance firmate Ricci/Forte potranno cambiare.
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