Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
Partita IVA 03068171200 | Codice Fiscale/Numero iscrizione registro imprese di Roma 03068171200
CCIAA R.E.A. RM - 1367791 | Capitale sociale: €10.000 i.v.
Il titolo è tutto un programma: Cantiere ‘900, che ben evidenzia la portata virtuosa e concettualmente precaria di un allestimento di 189 opere d’arte – tra dipinti, sculture, installazioni, video e tecniche miste – provenienti dalla cospicua raccolta d’arte del secondo Novecento italiano della Banca Intesa San Paolo. Siamo a Milano, in una delle zone più frequentate del centro: piazza Scala. Da un anno nei paraggi sta accadendo qualcosa, una rivoluzione silenziosa che ha portato alla nascita di un nuovo spazio culturale accessibile potenzialmente a tutti i cittadini. Le Gallerie d’Italia sono la vera novità nel panorama istituzionale meneghino dell’ultimo anno, grazie a due fondamentali aspetti: qualità della collezione e (almeno per ora) accesso gratuito. Risale all’anno scorso la nascita del primo nucleo di questo grande contenitore museale, con la collezione dell’800 – da Canova agli Scapigliati, fino ad arrivare ai maestri milanesi che hanno raccontato il fascino atemporale dei Navigli e a Boccioni, presente con tre indimenticabili dipinti –, curata da uno studioso attento alle vicende artistiche di questo secolo come Fernando Mazzocca, curatore anche del catalogo ragionato della suddetta sezione. Pochi giorni fa i grandiosi spazi del palazzo storico della Banca Commerciale Italiana, concepito dall’eclettica mente di Luca Beltrami (autore, tra l’altro dei restauri ottocenteschi del vicino Castello Sforzesco) e in questi ultimi mesi “rinfrescato” dalla colta progettualità dell’architetto Michele De Lucchi, hanno aperto il proprio tesoro composto, come anticipato, da quasi duecento opere della seconda metà del Novecento italiano, inaugurate con un ampio riscontro di pubblico. Pare infatti che fino a tarda ora la fila di persone desiderose di entrare partisse dalla vicina via Manzoni.
Il percorso parte con l’energia incisiva di Afro Basaldella, la ricerca materica di Alberto Burri, per poi giungere a Lucio Fontana – una sua opera esposta, un vero capolavoro, La luna a Venezia del ’61, grande composizione con buchi e inserti materici, è stata impiegata come opera ‘manifesto’ della collezione – e alle ricerche nucleari. Si scorge sin dalle prime sale – ricavate, anzi, sarebbe meglio dire disegnate, nei grandi ambienti fastosi dell’ex banca – una doppia attenzione: tra ricerche di area milanese e dispute di respiro nazionale e internazionale. Cosa buona e giusta per un museo che vive a contatto con la città e per una collezione nata in quell’area geo-culturale, proiettata naturalmente al contempo su binari extralocali. Tra percorsi monografici, sguardi su problematiche fondamentali – il dibattito tra astrazione e figurazione negli anni Sessanta, per esempio –, piccoli tasselli di storie incredibili e difficilmente collocabili in un genere storiografico vero e proprio (questo vale ad esempio per Pino Pascali, presente con un baco da setola – non tra i più belli, al dire il vero – e un profilo di scoglio eseguito con una tela centinata dipinta di nero), e attenzioni rare (pensiamo soprattutto ai poeti visivi di casa nostra, che raramente trovano spazio in realtà simili), il percorso arriva quasi agli anni recenti, con una buona selezione di opere della Transavanguardia e i lavori di Franco Vaccari, Davide Benati, solo per citarne alcuni.
La cura della sezione ‘900 è stata affidata a Francesco Tedeschi, storico dell’arte contemporanea e docente presso l’Università Cattolica. A Tedeschi – allievo di un maestro riconosciuto come Luciano Caramel, a cui tra l’altro ha dedicato come omaggio, con Cecilia De Carli, la curatela di un bel volume di saggi di storia dell’arte contemporanea – si devono le ricostruzioni critiche della raccolta e dei suoi orientamenti all’interno delle vicende artistiche del secolo scorso, oltre a tutta una serie di sintetiche schede che introducono con un lessico accessibile ai vari nuclei ricavati all’interno del lungo percorso espositivo. Per chi ha dimestichezza con Milano e alcuni aspetti della sua storia culturale, le Gallerie d’Italia con i suoi nuclei dell’800 e del ‘900, sono localizzate in un’area a dir poco strategica: pochi passi da Piazza Duomo, con il suo Museo civico del ‘900, pochi passi dall’Accademia di Brera, oltre alla ‘dimenticata’ Galleria d’arte moderna di Villa Reale.
A poche ore dall’inaugurazione il dinamico Stefano Boeri, Assessore alla Cultura di Milano, ha prontamente postato su facebook una sua riflessione, qualcosa tipo “come sarebbe bella un’area pedonale che comprendesse il percorso che va dal Museo del ‘900, Cantiere ‘900 e Brera”. Eh, sarebbe bello difatti, anche se le lungaggini burocratiche previste per un’eventuale operazione simile non lasciano ben sperare.
Riprendiamo in mano, giusto per farci un’idea su queste eventuali ‘lungaggini’, il pamphlet di Giovanni Agosti edito in tempi recenti per i tipi di Feltrinelli. Le rovine di Milano, questo il titolo del libretto firmato da uno studioso (giustamente) polemico che di recente ha svelato (soprattutto a noi più giovani) i retroscena di iniziative culturali, progetti finiti male, cantieri infiniti, restauri sciagurati e iniziative editoriali ed espositive fallimentari della Milano degli ultimi trenta-quarant’anni. Ma vogliamo essere naturalmente ottimisti, sperare in sviluppi virtuosi e per certi versi epocali. La presenza di un vero e proprio percorso da ‘calpestare’ tra i capolavori conservati all’Arengario, in piazza Duomo, i ‘nuovi’ lavori del Cantiere ‘900 e le ‘periferiche’ sezioni del Novecento (un po’ maltrattate rispetto al canonico percorso medievale e moderno) in Pinacoteca di Brera, sarebbe ovviamente auspicabile, permetterebbe al pubblico non addetto ai lavori di conoscere contestualmente pagine importanti della storia dell’arte del XX secolo, di osservare collezioni nate con impostazioni diverse, gusti diversi, tra passioni collezionistiche di uomini raffinati (al Museo del Novecento e in parte a Brera vi sono opere provenienti da prestigiose raccolte private milanesi) e mecenatismo di un gruppo bancario. E naturalmente consentirebbe un lavoro sinergico fra tre realtà distinte, magari attraverso una politica mirata a istituire un unico biglietto unico valido per le tre sedi.
Certo, a prescindere da alcune utopie, rimangono problemi strutturali che non si potranno superare con disinvolta facilità: il ‘problema’ dell’allestimento della sezione Novecento in Brera, ad esempio. Per non parlare del fatto che ci troviamo dinanzi a tre realtà per certi versi compatibili sotto il profilo di parte delle collezioni – Ottocento e Novecento alle Gallerie d’Italia, che aprono idealmente il percorso – ma differenti per natura giuridica e per ‘paternità’: museo civico (quello del ‘900 in piazza Duomo), museo appartenente a una fondazione bancaria (Gallerie d’Italia) e museo statale, di competenza della Soprintendenza quindi, per Brera. Come far dialogare realtà che ‘appartengono’ a famiglie differenti, quando spesso è così complicato dialogare in casa propria con volontà sinergiche? Pensiamo, giusto per fare un esempio noto e atavico, alla difficile convivenza della Pinacoteca di Brera con la sottostante Accademia di Belle Arti, l’attiguo orto botanico e l’adiacente biblioteca nazionale. Rimane poi il problema del percorso auspicato dallo stesso Boeri. Si potrebbe chiudere al traffico la potenziale ‘strada dell’arte’? Non ci sarebbero ripercussioni sulla viabilità di tram e taxi? Non essendo esperti di traffico cittadino tacciamo. Auspicando un primo step, quello più fattibile e per certi versi più utile: creiamo un percorso con totem ben visibili all’esterno di questi edifici. Invitiamo questi musei a interagire, a proporre una campagna di comunicazione comune, soffermandosi sugli sviluppi dell’arte italiana tra Otto e Novecento. E in questo senso, oltre alla citata Galleria d’Arte Moderna di Villa Reale, si potrebbe andare oltre, un po’ più lontano (in termini di distanze chilometriche), coinvolgendo le case-museo custodite in città: Villa Necchi Campiglio, con la pregevole raccolta donata da Claudia Gianferrari e casa Boschi-Di Stefano. Perché no?