La valorizzazione dei borghi nel nostro paese da sempre si gioca su un doppio registro: quello della necessità di salvaguardia della memoria storica dei luoghi e quello delle “ragioni del business” che gli investitori devono osservare nell’accostarsi al recupero del patrimonio storico.
Poiché le esperienze osservabili possiedono sempre, in combinazioni differenti, entrambe le valenze, non è casuale che gli operatori chiamati ad esprimersi sulla situazione del settore facciano ricorso a locuzioni quali “borghi come investimento passionale” (Turco, Feidos S.p.A.) o “i borghi sono il nostro petrolio” (Dellisanti, AGIDI)(1). E’ accaduto nella seconda giornata dei convegni su Borghi e centri storici al MADE expo a Milano (17-20/10/12), evento che giunge alla sua terza edizione, e che costituisce ormai un punto privilegiato di osservazione delle esperienze, in particolare di quelle più innovative.
Tale accumulazione ha tra l’altro consentito ai curatori (Esposto, Borghi srl) di tracciare un primo bilancio degli orientamenti delle prassi operative recenti, nonché di individuare le prospettive di lavoro più interessanti. Ne emerge una “classificazione” delle esperienze di valorizzazione dei borghi (Borghi a finalità turistico/immobiliare; a finalità “produttive”; con finalità artistiche, culturali e formative; con finalità sociali) che riassume efficacemente le logiche fondanti di un vasto panorama di iniziative, sia di amministrazioni locali che di operatori imprenditoriali e finanziari, il più delle volte spontanee, vista e considerata la sostanziale assenza di un quadro sovralocale (tranne alcuni significativi casi regionali) di politiche per il settore.
Le esperienze di valorizzazione proposte quest’anno mostrano in modo sempre più evidente i segni della consapevolezza dei limiti di una valorizzazione turistica “spinta”, che nei casi più estremi ha condotto ad una quasi irreversibile compromissione – e comunque banalizzazione – di delicati contesti storico-paesaggistici; è quindi anzitutto da rilevare un comune orientamento ad attuare strategie di intervento sempre più complesse ed integrate, centrate sull’obiettivo del contrasto alle dinamiche di spopolamento ed abbandono del territorio storico marginale e, parallelamente, dell’esasperato ed ormai insostenibile consumo di suolo.
Le strategie di intervento nei centri storici minori hanno assunto quindi nel tempo una valenza ed un significato crescenti, che hanno allargato il campo di azione dalla valorizzazione immobiliare, soprattutto a fini turistici, a più ampi progetti di sviluppo dei territori in cui tali centri si situano. E non è quindi un caso che le conclusioni siano state affidate proprio al Ministro della Coesione territoriale Fabrizio Barca, che ha sottolineato l’importanza cruciale delle sperimentazioni in atto in questi contesti come strategia chiave sia per la messa in sicurezza e manutenzione del territorio che per l’affermazione di nuovi modelli di sviluppo.
L’articolazione degli interventi nella giornata riflette in modo emblematico la traiettoria di crescita di ruolo e di scala degli interventi di valorizzazione. Ripercorrere i contributi più rilevanti provenienti dalle due sessioni consente infatti di mettere in luce proprio l’evoluzione delle filosofie di intervento nei borghi, sia che si guardi ad essi come preziosa risorsa da salvare ed occasione di investimento immobiliare che consenta una sopravvivenza del contesto (sessione della mattinata “Sviluppo immobiliare e turistico dei borghi italiani. Modelli di business – esperienze a confronto”), che in modo più ampio come punto cardine delle politiche di sviluppo per le aree interne (sessione del pomeriggio “Italia antropizzata in declino demografico: quale modello di intervento per i borghi e le aree interne?”).
Le iniziative passate in rassegna hanno riguardato pressoché esclusivamente proprio i territori interni: il borgo di Casteldilago nel Parco fluviale del Nera in Umbria (Francucci); l’Irpinia (Berrino, Università Federico II di Napoli); Termoli ed il suo caso di albergo diffuso (Vincitorio, Residenza Sveva); il Molise (Nardone, Consorzio Molise Natura); le “Terre Alte” del Piemonte (Bussone, UNCEM). Territori interni su cui si svolge anche la sperimentazione ed i workshop di Flora (Università di Camerino) di “ri/attiva/azione” dei borghi, attraverso seminari di progettazione e creazione di eventi culturali.
La gran parte di questi casi, in particolare quelli concernenti realizzazione di alberghi diffusi, si collocano su una linea di intervento, ormai maturato come prassi, che l’ha portata a connotarsi come una felice realtà identitaria italiana e che gode di grande reputazione ed attrattività sul mercato turistico internazionale. In questi casi recenti si respira la convinzione che senza il coinvolgimento della comunità locale e la rivitalizzazione del tessuto socio-economico, quando seriamente minacciati da fenomeni di spopolamento demografico e delle attività (com’è frequente nel territorio appenninico), non è possibile attivare processi di valorizzazione in grado di qualificare efficacemente un’offerta territoriale. Si è più volte sottolineato come l’esperienza di visita, da parte di una domanda sempre più attenta ai valori della specificità e dell’autenticità, costituisce un contatto non superficiale con la realtà locale e produce un rapporto attivo – spesso di vera e propria “fidelizzazione” dei visitatori/ospiti – con le produzioni materiali ed immateriali.
Ne è conseguenza anche, sul fronte della qualificazione dell’offerta, il diffuso orientamento alla creazione di prodotti territoriali integrati che rendono sempre più necessario lo sviluppo di reti tra le risorse e tra i centri minori contermini.
Di particolare interesse, proprio sotto il profilo della scala territoriale degli interventi, l’iniziativa dell’UNCEM piemontese, che ha studiato e messo a punto una peculiare strategia per la messa in valore del patrimonio delle borgate montane. In tali borgate si è stimata la presenza di un patrimonio edilizio dismesso di ben 20.000 immobili, in una situazione di pressoché totale assenza di risorse pubbliche per la riqualificazione, dopo il grande successo, nel 2009, della Misura 322 “Sviluppo e rinnovamento dei villaggi” del PSR 2007-2013 della Regione Piemonte che aveva permesso l’accesso a 40 milioni di euro per la valorizzazione di 30 borgate.
In tale limitante condizione, si è proceduto all’emanazione di un bando (agosto 2012) con la richiesta di manifestazione di interesse per il recupero e la valorizzazione delle borgate; pur in assenza di contributo pubblico – e di conseguenza evidenziando la rilevanza delle detrazioni fiscali come elemento fondamentale di appeal – sono state ricevute ben 500 manifestazioni di interesse tra professionisti, Comuni, imprese edili, artigiani, operatori immobiliari, investitori. Con lo slogan “dall’abbandono al ritorno” si è dato vita ad un’attività di recupero che consente di conciliare gli interessi di proprietari di immobili del tutto improduttivi e domanda di nuova residenza – con la significativa esclusione della destinazione a “seconda casa” – e di sedi per attività economiche. I successivi passi dell’iniziativa sono individuati nella realizzazione di un disciplinare tecnico per gli interventi come necessaria premessa alla creazione di un marchio per la borgata e la casa ristrutturata.
Che d’altra parte esista e sia in crescita una domanda turistica particolarmente attenta alle specificità dei territori interni, era già testimoniato dalla creazione delle Bandiere Arancioni del Touring Club Italiano di cui è stata presentata da Isabella Andrighetti l’attività ormai pluriennale (l’idea è nata nel 1998 in Liguria), tale da poter consentire anche alcune valutazioni di bilancio dell’esperienza. L’attribuzione della Bandiera funziona come un marchio di qualità, essendo le località fatte oggetto di una rigorosa selezione cui si è calcolato attualmente è passato il 9% dei candidati, e di un controllo nel tempo , ogni tre anni, del mantenimento dei requisiti richiesti.
In termini di valutazione degli impatti dell’attribuzione del marchio, il dato più rilevante è senza dubbio quello della crescita della popolazione e delle iniziative imprenditoriali, nella logica della rivitalizzazione e dello sviluppo locale che è dichiaratamente l’obiettivo di intervento, e in assenza della quale non via sarebbero d’altronde le garanzie per il mantenimento di un livello qualitativo di offerta adeguata.
Come elemento di riscontro della redditività delle soluzioni, e quindi dell’attrattività per i necessari partner privati e, in finale, della praticabilità stessa degli interventi, si è data voce ad operatori del settore e finanziatori. Nel primo caso (Mangialardi, Antoitalia Hospitality), è interessante osservare come la realizzazione di un rating per la valutazione delle opportunità di investimento attribuisca alla presenza di risorse immateriali nel contesto, quali, accanto a quella storico-culturale, l’attrattività sociale, pari importanza rispetto a fattori quali l’infrastrutturazione del territorio.
I finanziatori (Marcelli, Deutsche Bank, e Turco, Feidos S.p.A.) hanno poi in diverso modo messo in evidenza l’importanza del progetto imprenditoriale prima ancora di quello immobiliare, e per il quale è centrale l’aspetto della creatività. Creatività che costituisce il fattore indispensabile anche per cogliere opportunità come quelle derivanti dalla messa in valore del patrimonio pubblico, come evidenziato da Invitalia (Portaluri), che grazie ad un accordo con l’Agenzia del Demanio procederà all’individuazione ed alla messa a disposizione per concessioni cinquantennali di beni statali vincolati – e pertanto non alienabili – in dismissione, per la realizzazione di programmi unitari di valorizzazione territoriale costruiti sulla base di piani di intervento predisposti dai Comuni. Il principio di fondo è quello della messa in rete dei beni proposti da Invitalia ed Agenzia del Demanio ed altri beni di proprietà pubblica per progetti di più ampio respiro.
Che l’ampliamento dello sguardo sia a scala territoriale che a livello multisettoriale sia diventato l’approccio necessario lo testimoniano anche i contributi di Legacoop (Poletti), Coldiretti (Masini) ed in particolare di Legambiente nella persona del presidente Cogliati Dezza.
Mentre infatti nei primi due interventi si è sottolineata la rilevanza delle politiche di valorizzazione del territorio dei borghi, rispettivamente in quanto luoghi per eccellenza delle forme di autorganizzazione dei cittadini e di presidio della produzione agricola, Cogliati Dezza ha tracciato un quadro interpretativo articolato della condizione dei piccoli comuni italiani, che giustifica la richiesta di assoluta centralità degli sforzi e delle strategie di intervento rivolti a questi territori come necessità ormai imprescindibile per la tenuta dell’intero “sistema paese”.
In un lungo intervento significativamente intitolato “La fragilità ed il valore del territorio”, Legambiente ha sottolineato il ruolo chiave che i piccoli comuni possono rivestire come veri protagonisti dell’uscita dalle attuali condizioni di crisi, per molteplici ragioni legate soprattutto ad un bene noto compito di presidio de: il territorio più fragile, in particolare sotto il profilo della sicurezza idrogeologica, grazie al ripristino degli alvei ed al rimboschimento, e della prevenzione degli incendi boschivi, solo per citare le più frequenti cause di disastro nel nostro paese; il patrimonio storico-artistico; il patrimonio naturale, se si considera che il 65% dei comuni interni alle aree protette hanno meno di 5.000 abitanti; il territorio agricolo e le capacità produttive (ad oltre il 90% di tali centri è associabile almeno un prodotto DOP).
Accanto al ruolo, certamente oneroso, di custode del patrimonio territoriale, si è evidenziato però anche una importantissima e crescente funzione di luoghi di sperimentazione di nuovi stili di vita e produzione, facendo a tal proposito gli esempi della grande operosità di questi centri nell’attivare finanziamenti ed interventi su temi come quelli dell’efficientamento energetico e dell’innovazione sul riciclo dei rifiuti, e della loro naturale vocazione a realizzare forme di Green economy ed a rappresentare luoghi di “costruzione” di nuove società, in contesti dove la nascita di bambini di famiglie immigrate pesa oltre il 13% sul totale delle nascite, complice la cronica negatività dei saldi naturali “nostrani”.
Ed è su queste considerazioni che si fonda il messaggio forse più rilevante di una giornata di riflessioni intorno alla formulazione di un nuovo e più complesso concetto di “convenienza” all’intervento, in cui fattori di ordine morale e culturale pesano quanto ed a volte più di quelli di natura economico-finanziaria. I luoghi sono, in ragione di questo ampio insieme di convenienze, al centro delle politiche di sviluppo, come lo stesso Barca nelle conclusioni ha voluto evidenziare, confermando il particolare interesse del governo per la maturazione delle iniziative che traggono origine dalla grande esperienza della nuova programmazione svoltasi a cavallo del secolo e delle forme di “sviluppo dal basso”, ormai radicate nell’operatività locale, che da essa si sono attivate.

Note: 
1. Associazione Italiana dei Giuristi di Diritto Immobiliare