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Se gli Stati Generali evocano un’idea antica di assemblea condivisa volta a limitare il potere monarchico nell’epoca del regime assoluto, l’evento odierno promosso dal Sole24Ore ha rappresentato appieno questa concezione. Partito un po’in sordina nella mattinata di oggi all’interno del teatro Eliseo alla presenza delle più alte cariche dello stato, moderate dal direttore del giornale economico per eccellenza, Roberto Napoletano, gli Stati Generali della Cultura, hanno scalato la vetta di Twitter, divenendo topic trend con l’hashtag #sgcultura12 e hanno rapidamente portato alla ribalta la voce polemica e combattiva di quel terzo stato che sedeva in platea. È bastato che iniziassero i primi interventi dei tre ministri presenti sul palco, Lorenzo Ornaghi dei Beni Culturali, Fabrizio Barca per la Coesione Territoriale, Francesco Profumo per la Pubblica Istruzione, che le proteste in sala sono cresciute rapidamente arrivando più volte ad interrompere e a contrastare i regi interventi.
La retorica non basta più ed ecco che i lineari discorsi del palco sono stati più volte confutati da domande incalzanti che il direttore Napoletano ha cercato di far tacere. La tavola rotonda (chiusa) ha iniziato a vacillare quando, durante il primo intervento del Ministro Ornaghi che rispondeva ad una domanda dell’archeologo Andrea Carandini, la folla ha urlato: “Basta parlare di passato, parliamo di futuro”. L’intervento era iniziato, infatti, rivangando gli errori perpetrati nel passato, quelli che hanno portato all’emergenza profonda in cui versa il sistema culturale attualmente. Da subito, tuttavia, si è fatto strada il tema che terrà banco l’intera giornata: arrivare alla cooperazione con il settore privato, soprattutto oggi che il pubblico è responsabile di un deficit immenso.
E mentre va avanti la discussione, non si arrendono i presenti in sala continuando a domandare quale futuro per i lavoratori della cultura, tanto da portare il ministro Barca a paragonare l’effervescenza del teatro alla stessa dimostrata dai lavoratori del Sulcis “con la differenza però che lì davvero sono scarse le possibilità di riavere indietro il proprio lavoro, mentre il settore culturale rappresenta ancora un settore proficuo”.
Il ministro fa riferimento a quell’enorme risorsa rappresentata da Pompei che, se non debitamente tutelata, rischia di finire con tutte le sue ricchezze in mano internazionale.
Si continua poi a parlare della centralità crescente del terzo settore per cui sono stati stanziati dal Governo 35 milione di euro. “Il governo ha fatto troppo poco per la cultura” afferma Napoletano,così come il direttore dell’Accademia dei Lincei ricorda che per combattere la corruzione epidemica che dilaga nel paese, solo la cultura può essere la via d’uscita.
Ed in questo frangente che arriva l’intervento del ministro Profumo, che pone l’accento sull’importanza della formazione, perché “senza scuola non c’è cultura“. Non passa un minuto che la folla si scalda ancora: “ma di quale formazione parlate se continuate a dare soldi alla scuola privata e i nostri giovani scappano dal paese?”, tuona la platea.
Solo il successivo intervento del capo dello Stato Napolitano riesce a calmare gli animi; il valore della costituzione è il suo leitmotiv e gli applausi non si fanno attendere “la cultura è un’emergenza dimenticata e trascurata da troppo tempo- afferma – la spending review deve portare avanti i tagli in modo selezionato e non indiscriminato ed è la politica che deve decidere in modo responsabile a chi togliere le risorse. Perché non tutto è difendibile e produttivo. Bisogna avere il coraggio di innovare”.
Il presidente ricorda anche il prestigio della ricerca italiana riconosciuto in particolar modo all’estero e parla della necessità di sfoltire la nostra “intricata foresta normativa”.
L’intervento del capo dello Stato sarà l’unico ad ottenere l’approvazione della folla.
Dopo la pausa il dibattito proseguirà ma perdendo l’euforia della mattinata. Cambia il moderatore, Armando Massarenti, ma cambiano anche i toni degli interventi. Meno discorsivi e più tecnici durante questa sessione. Il primo ad arrivare sul palco è Alessandro Laterza, Presidente della Commissione Cultura di Confindustria, che espone come incentivare la collaborazione tra pubblico e privato, mantenendo il primo centrale e insostituibile per i finanziamenti al settore. “ E’ necessario- afferma- attrarre nuovi interlocutori economici che vengano da risorse private che vadano a corroborare l’intervento pubblico”. Vengono snocciolati i primi dati economici: 26 milioni sono i fondi stanziati dal settore pubblico, 29 quelli da fondazioni e cittadini, ma per fare di più la defiscalizzazione al 19% non è sufficiente. Il problema rimane come salvare tutti quei musei che fanno parte delle 425 istituzioni museali statali italiane cui le sponsorizzazioni non sono indirizzate direttamente.
Continuando sul tema delle fondazioni, segue l’intervento di Emanuele Emmanuele, presidente della Fondazione Roma, che chiarisce sin da subito che il ruolo della Fondazione non deve essere né quello di una banca né quello della Cassa Depositi e Prestiti e che soloin questo modo si può realmente puntare su cultura e territorio. A tal fine bisogna “superare il pregiudizio nei confronti dell’amministrazione privata e far sì che pubblico e privato godano di pari dignità. Per far ciò bisogna avere un bilancio chiaro e approvato della Fondazione” .
Il terzo intervento è quello del professore Pierluigi Sacco, uno degli autori del Manifesto della cultura uscito la scorsa estate sul Sole24 Ore: “finalmente sento pronunciare le parole industria creativa nel nostro paese- reclama- in ritardo di15anni rispetto alle istituzioni europee”. Afferma inoltre di non voler più sentir paragonare la cultura al petrolio del nostro paese “perché la cultura non è una risorsa creativa da estrarre passivamente, la cultura passa dalla partecipazione attiva da parte dei cittadini ( in Italia tra i più bassi al mondo) e dall’esportazione del brand all’estero, migliorando il rapporto di impresa creativa con il settore manifatturiero”.
Il presidente di Federculture Roberto Grossi richiama l’attenzione sul calo consistente dei finanziamenti e sulle ricadute della legge Fornero nell’occupazione del settore “Dall’Italia sono scappati 6000artisti e l’investimento destinato al ministero è solo del 17%del Pil” incalza.
Successivamente Antonio Cognata, ricorda l’importanza delle Fondazioni Liriche nel nostro paese, dal momento che la lirica è nata italiana e ha contribuito ad esportare la lingua nel resto del mondo, sottolineando però la necessità di rivedere il sistema dei finanziamenti in questo settore.
Segue l’intervento di Gabriella Belli, direttore dei Musei Civici veneziani, che proprio sull’importanza della creazione di una rete tra musei incentra il suo intervento sull’esigenza di separare le nomine museali dal controllo e dall’andamento della politica.
Paolo Galluzzi del Museo Galileo di Firenze pone l’attenzione sulle nuove tecnologie soprattutto per un’apertura verso il mercato globale per la fruizione della nostra cultura.
Walter Santagata, del Consiglio Superiore dei Beni Culturali accenna, invece, all’incapacità del settore pubblico italiano di fare fundraising “Forse anche per non dover sottostare al controllo privato nella gestione”.
Massimo Monaci, direttore del Teatro Eliseo fa un intervento ancora più acceso sostenendo che in un momento di crisi come quello attuale bisogna mettere mano e rivedere le regole, in particolar modo quelle sulla distribuzione del FUS.
Segue Guido Guerzoni dell’Università Bocconi che propone la creazione di un ordine professionale per i progettisti culturali e chiude gli interventi Alberto Melloni per parlare di Cultural Heritage. La sintesi finale di questa giornata partita con le proteste e continuata come accademica spetta al ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, che oltre a prospettare una espansione dei provvedimenti dell’Agenda Digitale al settore dei Beni Culturali, cerca di sintetizzare tutti i concetti emersi durante il lungo dibattito, ponendo l’accento sulle difficoltà incontrare dall’attuale governo tecnico.
Molte le proposte, maggiori le proteste. Quanto di ciò che è stato messo sul piatto oggi vedrà la luce nei prossimi anni? Chissà. Certo è che ad oggi l’ Italia corre il rischio di vedere rivalutare le proprie risorse dagli stati esteri e di vedersi sfuggire un patrimonio immenso, esattamente come già da qualche anno si lascia sfilare sotto il naso giovani cervelli che portano all’estero il proprio know how. E non c’è Stato Generale che tenga per evitarlo